Omelia (22-06-2025)
don Alberto Brignoli
Non possiamo tirarci indietro

A volte, noi cristiani facciamo tante belle teorie di fronte ai grandi ideali dell'esistenza umana: la pace, la solidarietà, la fraternità, l'amore, l'uguaglianza, la giustizia, e così via. E magari ci dimentichiamo della quotidianità della vita, fatta molto spesso, per tante persone, di mancanza del pane di ogni giorno. Come possiamo, di fronte a una persona che ha il problema di dover sfamare se stesso e i propri cari, rivolgerci a lei facendole un discorso sugli ideali di vita, sulla morale o sulla necessità di approfondire le proprie conoscenze in materia di fede? Senza un pezzo di pane da mettere fra i denti nessun uomo riuscirebbe ad affrontare un discorso sugli ideali e sui valori della vita... Certo, esiste anche il digiuno volontario: ci sono momenti della nostra vita di fede in cui siamo chiamati a imitare il digiuno di Cristo nel deserto, all'inizio della sua missione, per cercare un altro tipo di cibo, ed è bene che lo facciamo. Ma non possiamo dimenticare che milioni e milioni di persone digiunano quasi quotidianamente, in maniera certamente non volontaria: e a volte il loro digiuno è interrotto solo dalla morte. Ci manca poi che la fame venga provocata da conflitti armati, e allora il dramma è totale. Certo, a noi che non abbiamo di questi problemi sembrano discorsi molto generici, quasi pietistici, perché comunque qualcosa da mangiare sempre l'abbiamo, anzi, a volte abbiamo addirittura troppo.
Gesù, alle folle che lo seguono nel brano di Vangelo che oggi ascoltiamo, "parla del Regno di Dio e guarisce quanti avevano bisogno di cure": ma non si dimentica, insieme, di dare loro il cibo quotidiano. E non sta a fare delle congetture, come noi, che spesso neghiamo il pane della carità a un fratello che ha fame perché - diciamo - "potrebbe lavorare anche lui come lavoro io", "perché nessuno gli ha detto di venire qui", "perché se ne approfitta", "perché se inizio a dargli qualcosa poi questo non smette più di cercare": tutti pensieri leciti, però, nel frattempo, quel fratello ha fame e continua a chiederci pane...
I seguaci di Gesù, in ogni epoca storica e in ogni parte del mondo, hanno compreso che non ci può essere evangelizzazione se non insieme a una profonda opera di promozione umana. L'uomo che ha fame, se continua ad avere fame, non può accogliere il Vangelo come Parola di Vita, perché non conosce Vita, perché questa Vita a lui viene meno, ogni giorno. E non parlo solo dell'uomo che ha fame di cibo, ma anche del malato, del disoccupato, del disadattato sociale, del discriminato, e anche di tutto quell'esercito di "nuovi poveri" che si crea ogni volta che sorge una crisi economica o accade una catastrofe umanitaria.
Gesù parla alle folle del Regno di Dio e guarisce quanti hanno bisogno di cure, ma non vuole continuare ad agire da solo, per cui fa rimbalzare il problema della fame dell'umanità sull'umanità stessa: "Voi stessi date loro da mangiare". L'umanità, infatti, spesso ragiona come i Dodici, che vogliono che sia il Maestro a risolvere il problema della fame dell'uomo: " Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni per alloggiare e trovare cibo". Affermazioni che oggi risuonano come un "che se ne vadano ai centri specializzati", "che vadano alla mensa della Caritas", "che vadano dai preti, a cercare".
Certo, è giusto e doveroso che nella Chiesa ci siano strutture che si facciano carico di queste problematiche: ma la Chiesa siamo noi, sono le persone, non le strutture. Le encomiabili strutture caritative della Chiesa stanno in piedi se noi vi contribuiamo, se noi lo vogliamo, se noi facciamo la nostra parte, se, appunto, "noi stessi diamo loro da mangiare". Gesù, nel Vangelo di oggi, è cosciente sin dall'inizio del miracolo che sta per fare: eppure vuole che noi, insieme con lui, facciamo il miracolo di dare da mangiare a chi ha fame.
Ecco il senso dell'Eucaristia, che oggi, giustamente, festeggiamo con tanta solennità: Cristo nel pane e nel vino si fa Cibo di vita eterna per l'uomo, ma insieme si fa condivisione, si fa "comunione" con l'uomo, ovvero condivide con lui le gioie e le bellezze, ma anche i drammi della vita di ogni giorno, a partire dalla mancanza del pane quotidiano, quello stesso pane quotidiano che chiediamo nel Padre Nostro proprio qualche istante prima di ricevere l'Eucaristica. Chi a messa fa la Comunione, ossia chi accetta di condividere la sua vita con Cristo, deve essere pure disposto ad accettare che Cristo gli chieda di fare comunione non solo con lui, ma anche con il fratello che ha fame, che soffre, che è nella necessità.
Fare la Comunione ogni domenica (o magari anche più volte la settimana) e non fare nulla per alleviare le sofferenze dei nostri fratelli è una grave contraddizione, è qualcosa che rende vana, inutile, la nostra partecipazione all'Eucaristia.
Non ci capiti mai di dire al Signore, magari dopo aver partecipato alla Messa, "Congeda la folla perché possa trovare cibo ", come erroneamente fecero i Dodici quel giorno sulle rive del lago di Galilea; al contrario, accettiamo la provocazione di Gesù, "voi stessi date loro da mangiare", nella consapevolezza che attraverso i nostri insignificanti cinque pani e due pesci, ossia la nostra poca ma generosa collaborazione, Cristo, Pane di Vita Eterna, può continuare a saziare la fame di ogni uomo.