Omelia (26-06-2025)
Missionari della Via


Il Vangelo di oggi ci interpella sul nostro essere cristiani. Noi spesso guardiamo il cammino degli altri, giudichiamo le loro azioni ma siamo incapaci di guardarci dentro. Spesso ci illudiamo di essere a posto solo per le tante messe alle quali abbiamo partecipato; pensiamo di sapere tutto di Dio visto il numero di catechesi alle quali abbiamo assistito; conosciamo molti brani della Bibbia e ci illudiamo che tutto ciò basti a evitare quella dura frase di Gesù: «non vi conosco»! In quel giorno speriamo non ci sia tanta gente davanti alle porte chiuse... Quanta gente che si è sentita a posto rischia di essere lasciata fuori. Gente che ha vissuto solo di esteriorità, di complimenti ricevuti, di ruoli importanti ricoperti. Ma è da questo che gli altri ci riconosceranno come discepoli del Signore? È da questo che il Signore ci riconoscerà come suoi amici? No, certo che no, ma «se avremo avuto amore gli uni per gli altri». Madre Teresa di Calcutta diceva che «Nel nostro servizio non contano i risultati, ma quanto amore mettiamo in ciò che facciamo» In questa parabola delle due case, la differenza tra quella che rimane salda e quella che va in rovina è racchiusa tutta in una parola: mettere in pratica o non mettere in pratica le parole ascoltate. Davanti a questo ammonimento facciamo un serio esame di coscienza e domandiamoci se davvero la Parola del Signore guida il nostro agire; e, s nel nostro agire, cerchiamo di essere sempre in comunione con Lui.


"Ricordo una donna senza una gamba fin da bambina. Non so come riuscii a dirle che quella menomazione era una porta aperta sul regno dei cieli, che quella era una potenzialità non un vicolo cieco, che lei poteva conoscere l'arte di consolare se accettava di usare quella spaventosa croce come Cristo aveva usato la sua, e che io non sapevo perché Dio avesse permesso questa realtà tragica condizionando tutta la sua vita, ma che c'era un segreto che il Padre le aveva detto e che lei doveva accogliere..., mi erano finite le parole. Mi guardava, contratta in volto, con occhi sgranati. Ebbi il tempo di chiedere a Dio perdono se l'avevo ferita o se avevo banalizzato la sua condizione, preparandomi a chiedere scusa e... esplose. Batté il pugno sul bracciolo della carrozzina e urlò: "Io lo sapevo! Io lo sapevo che questa non era una disgrazia! Io l'ho sempre saputo che questo serviva a qualcosa! Non l'ho mai detto a nessuno, ma dentro da bambina pensavo: la mia vita un senso ce l'ha! Non è un caso tutto questo!". In quel momento quella donna stava un passo oltre un oceano di uomini e donne fisicamente bipedi, ma esistenzialmente zoppi» (don Fabio Rosini).