Omelia (01-06-2025)
don Andrea Varliero
La giusta distanza

Ascende il Signore. Sono trascorsi quaranta giorni da quel mattino di Pasqua, un tempo tutto umano di rielaborazione di un'esperienza, un tempo per perdersi e per ritrovarsi, un tempo per camminare insieme, un tempo per ritornare all'essenziale. Dopo quaranta giorni, il Signore non sta più con loro, non è più presente nel corpo: festa difficile, dunque, festa che ha il retrogusto di un addio, di un distacco. Gli stessi sentimenti che prova un padre quando affida la figlia allo sposo, le stesse emozioni che prova una madre il primo giorno di scuola per il figlio.
Distacco. Lasciare andare: c'è una spiritualità sul lasciare andare. Il Risorto aveva chiesto a Maria Maddalena di non essere trattenuto; ora anche ai discepoli è chiesto di non trattenerlo. Per noi, che viviamo nella società dell'intrattenimento, che vorremo intrattenere a vita volti e persone, che a volte inneschiamo dei sensi di colpa enormi, pur di trattenere a noi le persone di casa, fa bene questo distacco. Oggi accolgo una spiritualità che non trattiene, che lascia andare, una giusta distanza. Una spiritualità che mi fa intuire che l'amore non soffoca, non vuole trattenere per sé, ma crea un giusto rispetto grazie al quale l'altro e l'altra possano fiorire, realizzarsi; una distanza in cui ci si possa non solo amare, ma anche onorare. Quel corpo di Dio è da oggi assente ai nostri sguardi, ai nostri abbracci, alle nostre sicurezze, alle nostre pretese. Un rispetto infinito da parte sua per noi, una distanza infinita, perché la vita possa essere. Nel settimo giorno, Dio si è ritirato, è entrato nel riposo, altrimenti la Creazione non avrebbe potuto essere. Nel settimo giorno, Dio ha trattenuto il respiro, altrimenti l'universo non avrebbe potuto respirare. Oggi, nell'Ascensione, celebriamo il Dio che entra nel silenzio, più che nella Parola: «Perché, se Dio fosse il Dio della Parola, ci accecherebbe con la sua luce. Dio è il Dio del silenzio, perché solo il silenzio di Dio è la condizione del rischio e della libertà» (André Neher). La sua assenza, il suo sabato, la sua Ascensione è il suo immenso rispetto a tutti noi.
Ascensione è un movimento che dirige lo sguardo verso l'alto. A Madrid, il mese scorso, durante lo sconvolgente blackout che ha spento tutte le luci, sono rimasti tutti senza parole per aver alzato lo sguardo al cielo ed aver ammirato, forse per la prima volta, la Via Lattea. Mentre tutto attorno a noi riduce verso il basso, sminuisce, degrada, mentre ripetiamo rancorosi «ti anniento, ti umilio, ti abbasso, ti riduco a nulla», oggi l'Ascensione mi orienta verso l'alto, sale verso una benedizione. È salito il nostro Dio pellegrino, è andato oltre: non oltre le nubi, ma oltre le forme. Non è volato via come un extraterrestre, ma come un pellegrino è entrato nel cuore: nel cuore dei discepoli, nel cuore del mondo, nel cuore del senso. Se prima era con loro, ora è dentro di loro, come una forza dell'intero cosmo verso una vita più luminosa, una forza che spinge, da dentro, a rialzarci. Un fiore che sboccia, una vita che nasce, un abbraccio improvviso, un vedere le cose da una prospettiva più alta, sono segno che Lui sta operando da dentro di noi, come forza vitale, come spinta che ci fa risalire dai vortici che trascinano giù. Anche le nostre parole narrano di frasi come: «non lasciarti andare giù, non abbatterti», indice che abbiamo innata nel cuore la direttrice dell'Ascensione.
Benedizione e gioia. Ci sono parole da recuperare, parole da ridire, parole da reimparare, parole per cui ritrovare significato: benedire è una di queste. «Mentre li benediceva si staccò da loro e veniva portato su, in cielo». Li benediceva: è un gesto continuato, un gesto nobile che è iniziato e non si è più concluso, una benedizione mai terminata, in-finita. Una benedizione alta sul mondo e vicinissima a me. «Tornarono a Gerusalemme con grande gioia»: ascoltare la Gioia, ascoltarla e comprenderla, sentire che la gioia è la sua parola che parla dentro di noi. Non avere paura della gioia, saperla discernere rispetto alle gratificazioni. Ascoltare la gioia di una presenza silente, sentire la gioia nel bene realizzato e il dolore per il male inferto o subito. La gioia come garanzia della sua presenza.
È asceso il mio Signore, è salito in Cielo. Anche io, con Lui, sono chiamato alla distanza, al rispetto, a relazioni che non soffochino. Anche io, come Lui, sono chiamato a salire ed elevare chi sta attorno me. Anche io, insieme a Lui, sono chiamato alla benedizione e alla gioia, al respiro di Pasqua. Come il padre della sposa davanti all'altare, come la madre di un bambino al primo giorno di scuola, gioirò di questa vita, che preme a più vita.