Omelia (01-06-2025) |
diac. Vito Calella |
La professione della nostra speranza con la conversione e il perdono L'autore della lettera agli Ebrei ci offre uma bella esortazione, nel contesto del nostro anno giubilare: «Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso» (Eb 10,23). Nel giorno della grande riconciliazione di Dio con il suo popolo (yom kippur), il sommo sacerdote del tempio di Gersalemme offriva sacrifici di olocausto per la purificazione di se stesso e del popolo ed entrava solo in quella circostanza nel "santo dei santi" per fare l'aspersione del sangue ed ottenere ritualmente il perdono dei peccati. L'autore della lettera agli Ebrei vede nella vittima sacrificale di olocausto e nella figura del sommo sacerdote del tempio l'evento di salvezza della morte e risurrezione, avvenuto una volta per sempre, del Figlio di Dio in mezzo a noi: «Gesù non deve offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui: in questo caso egli, fin dalla fondazione del mondo, avrebbe dovuto soffrire molte volte. Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso» (Eb 9,25-26). Gesù crocifisso, «vittima di espiazione per il perdono dei nostri peccati» (cfr. 1Gv 4,10), «non è entrato in un santuario fatto da mani d'uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore» (Eb 9,24). L'offerta esistenziale di Gesù, avendo in mente il rito della riconciliazione che si celebrava una volta all'anno nel tempio di Gerusalemme, afferma in chiave cultuale ciò che il Cristo risuscitato disse, quando «stette» (Lc 24,36) con gli apostoli e con i due discepoli di Emaus nella notte de giorno di pasqua: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme» (Lc 24,46-47). Manteniamo viva la professione della nostra speranza perché Gesù ha realizzato ciò che il Padre aveva promesso: la conversione e il perdono dei peccati. È una sfida aperta e offerta a tutta l'umanità, che richiede ora nostra risposta libera e il nostro impegno di diventare testimoni di Cristo morto e risuscitato, con l'aiuto e con la forza dello Spirito Santo. Infatti, dice l'autore della lettera agli Ebrei, «Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l'aspettano per la loro salvezza» (Eb 9,28). Dall'ultima sua apparizione con il suo corpo glorioso (ascensione) fino alla sua seconda venuta nel giorno del giudizio finale, siamo nel tempo dell'azione dello Spirito Santo che anima ogni comunità cristiana ad essere germe e segno visibile del regno di Dio nella storia di questo mondo. Il Cristo risuscitato disse ai suoi discepoli e dice a noi: «Riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra» (At 1,8). Predicare la conversione e il perdono dei peccati riassume la nostra testimonianza missionaria, che richiede di garantire tre azioni: La prima azione è l'opera pastorale di evangelizzazione che il Cristo risuscitato chiede ai suoi discepoli e discepole, come abbiamo ascoltato alla fine del Vangelo di Luca e all'inizio del libro degli Atti degli Apostoli: «Nel suo nome proclamare la conversione e il perdono dei peccati a tutte le nazioni» (Lc 24,47 e At 1,8 già citato). L'opera di evangelizzazione non dipende solo dalle nostre capacità umane, ma si sostiene con l'aiuto essenziale della «potenza dello Spirito Santo» la cui discesa su di noi è celebrata il giorno di Pentecoste. La seconda azione è la scelta di essere fedeli alla celebrazione eucaristica, che diventa una nostra compartecipazione alla missione redentrice del Figlio su tutta l'umanità e garantisce la nostra vocazione battesimale. Lo abbiamo ascoltato dalla Parola di Dio per mezzo dell'autore della lettera agli Ebrei. Il nostro libero accesso «al santuario per mezzo del sangue di Cristo» e «la via nuova e vivente» della nostra salvezza che passa attraverso la contemplazione della morte di croce di Gesù, ricordata come un evento che strappa ogni tipo di «velo o tenda» di separazione tra Dio e l'umanità, è un modo di farci contemplare il nostro celebrare insieme l'Eucaristia e fare la nostra comunione con il corpo e sangue di Cristo (cfr. Eb 10,19-21). La comunione eucaristica «purificai nostri cuori da ogni cattiva coscienza» e ci fa rinnovare l'impegno di una vita nuova vissuto quando «il nostro corpo fu lavato con acqua pura» nel giorno del nostro battesimo (cfr. Eb 9,22). La terza azione diventa allora la visibilità di tre manifestazioni concrete dell'atteggiamento permanente della conversione e dell'effettivo perdono dei nostri peccati peccati: la testimonianza dell'amore fraterno, la pratica delle opere di misericordia e l'atteggiamento del rispetto contemplativo per tutte le creature della natura che compongono questo mondo. Poniamoci allora al posto degli apostoli, di Maria e di tutti i discepoli che, prima che Gesù salisse al cielo, «li benedissero» (cf. Lc 24,50-51). Quella benedizione raccontata alla fine del Vangelo di Luca è la benedizione d'invio per la missione, che riceviamo al termine di ogni azione liturgica svolta nella nostra Chiesa. Che questa benedizione ci accompagni aumentando in noi la certezza dell'aiuto sicuro dello Spirito Santo per la santificazione della nostra vita quotidiana e per il nostro contributo effettivo alla realizzazione del Regno di Dio nella storia della nostra umanità. |