Omelia (25-05-2025) |
don Andrea Varliero |
La differenza e l' indifferenza «Certi libri costituiscono un tesoro, un fondamento; letti una volta, ci serviranno per il resto della vita», scriveva Ezra Pound. Ci sono libri che si chiudono appena terminiamo l'ultima riga, e libri che rimangono perennemente aperti, con un finale ancora tutto da scrivere. Sono questi i libri che entrano nella vita, che diventano la nostra stessa vita. Gli Atti degli Apostoli è uno tra questi: il viaggio della Parola fino ai confini del mondo, fino ai confini del tempo, un libro che «avviene» sempre, anche ai nostri giorni. Si vive un conflitto tra due modi di concepire la vita, la fede, persino Dio. Da una parte la tradizione, quello che è saldo, quello che non può essere messo in discussione, altrimenti crolla tutto il sistema. Dall'altra parte il progresso, l'osare contro ogni paura, proporre una novità inaudita. Da una parte i discepoli di Gerusalemme, cristiani serenamente convinti di dover continuare un rito e una liturgia giudaica, la circoncisione come segno eterno di Alleanza. Dall'altra due apostoli che si sono spinti oltre il recinto, Paolo e Barnaba: hanno annunciato il Vangelo ai pagani e questi, sorprendentemente, hanno accolto nella loro vita quell'annuncio. Allora devono essere circoncisi anche loro, pensano a Gerusalemme. E Pietro, che ha visto una tovaglia piena di animali impuri: «mangia, Pietro», nulla è più impuro, tutto è diventato resurrezione e vita nel Risorto. Ancora oggi respiro questa forte tensione tra queste due prospettive, ancora oggi la tentazione è uniformare, mettere a tacere, umiliare l'altro che la pensa in modo diverso da me. Tenermi le mie ragioni, diventare intransigente, irrigidirmi. Ma quell'incontro mi narra invece qualcosa di diverso: hanno il coraggio di parlarsi, di accogliersi. Certo, non è una discussione semplice, non vorrei essermi trovato davanti la raffica di parole offensive e di fuoco, davanti agli occhi scontrosi di Paolo. Eppure, si ha il coraggio di affrontare la battaglia volto a volto, senza giri di parole, si ha il coraggio del dialogo. Dialogare, anche se questo è faticoso, anche se mi trovo di fronte a chi non mi viene incontro. La tentazione sarebbe quella di tacere e di continuare a odiarsi silenziosamente, nell'indifferenza. Invece, si parlano. E insieme ascoltano, rileggono quello che si è vissuto: rileggono dello Spirito già presente tra i pagani, tra i lontani, di vite già incontrate e toccate da Dio, inconsapevolmente. Di un Dio che apre porte e sorprende. Paolo e Barnaba sono dei ri-lettori, reinterpreti di quelle vite alla luce del Cristo Risorto. Mi piace la loro fiducia nell'umanità, nel sentire che nessuno è lontano, nessuno è escluso, nessuno è impossibile. Mi piace che la realtà sia più grande dell'idea, che lo Spirito sia più sorprendente di tante nostre ripetitive tristezze. Ringrazio per questa pagina vissuta tra Paolo e Barnaba, tra Pietro, Giuda e Sila, tra gli apostoli di Gerusalemme: è grazie a questo loro incontro che io, pagano, ho potuto entrare in Gesù Cristo. Senza di loro la religione avrebbe continuato ad essere un muro perfetto, eppure chiuso. Senza di loro mi sarebbe stata estranea l'esperienza della Chiesa. Senza di loro Cristo mi sarebbe rimasto una lettera morta, sepolta. Proprio in questa settimana abbiamo vissuto un intenso incontro di estrema attualità, su etica e intelligenza artificiale. Il relatore ci affidava una parola che brucia, una parola difficile, una parola per cui lavorare insieme: «indifferenza». Non l'indifferenza come stato d'animo, una pazienza stoica e cinica, ma l'in-differenza, il non concepire l'altro come diverso da me. E per questo annullarlo, annientarlo. La differenza contro l'indifferenza, la differenza necessaria per camminare insieme. Oggi porto con me una bellezza: unità non è uniformità, è polifonia di sguardi, di storie, di voci. Hai incontrato il Cristo, crocifisso e risorto? Narramelo, così da poterlo incontrare di nuovo anche io. Incontro oggi il senso della tradizione: è custodire un fuoco e non adorare le ceneri, come ebbe a scrivere il grande compositore musicale Gustav Mahler. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Sì: la tua pace, Signore, è una pace che non è fatta di quieto vivere, né di indifferenza, né di resa. La tua è una Pace viva, vitale, è una pace che propone, che dialoga, che vive tutto il conflitto, fino alla croce, perché l'altro possa esistere. È una pace che dona, generosamente dona. Sì, la tua presenza fa davvero la differenza: è la tua Pace. |