Omelia (18-05-2025) |
don Alberto Brignoli |
Come sapere di essere cristiani A volte possiamo distinguere l'appartenenza di una persona a una determinata religione da qualcosa che mostri in maniera evidente quale fede professa: ad esempio, dal suo abito, dai vestiti che indossa, dagli oggetti che porta con se. Ma la maggior parte delle volte è ben difficile comprendere quale fede professi una persona finché non glielo chiediamo. Se noi dovessimo far vedere qual è il nostro distintivo di cristiani, cosa mostreremmo? Se ci chiedessero di identificarci come seguaci di Gesù Cristo, come risponderemmo? Potremmo dire, ad esempio, che un giorno abbiamo ricevuto il Battesimo, con il quale siamo entrati a far parte della famiglia dei discepoli di Cristo, la Chiesa. Ma come possiamo concretamente dimostrare il nostro essere battezzati a chi ce lo chiede? Con un certificato? Mica ce lo portiamo sempre dietro con noi... Al massimo, potremmo mostrare che portiamo al collo una catenella con una croce, o una medaglietta votiva di qualche santo a cui siamo particolarmente devoti. A parte il fatto che oggi portare la croce è diventato una moda, anche sotto forma di orecchino o di tatuaggio in qualsiasi parte del corpo, ad ogni modo io non sono così convinto che abbiamo sempre ben presente il significato di ciò che portiamo sul petto, magari custodendolo con gelosia. Certo, è un bel segno portare anche visivamente una croce al collo come segno dell'amore che nutriamo per il Signore: ma non basta per distinguerci cristiani di fronte agli altri. Anche un boss della mafia o uno qualsiasi dei cosiddetti "maranza" di oggi possono avere una catenella con il volto di Cristo sul petto... Allo stesso modo, sono bellissimi tutti gli sforzi che con fatica facciamo per ribadire le radici della nostra identità cristiana: dalla difesa dei crocifissi appesi nelle aule pubbliche, ai campanili che si ergono alti nei nostri paesi e che con il suono delle loro campane allietano le nostre ricorrenze, anche se a molti possono dare fastidio perché provocano "inquinamento acustico"; dalla lotta di qualche anno fa per la collocazione delle radici culturali cristiane nella Carta Costituzionale Europea a quella per l'ora di religione cristiana nelle scuole pubbliche. Sono certamente tutti segni di attaccamento alla nostra identità e al nostro distintivo di cristiani: ma non bastano. E per di più, non è questa la caratteristica principale dalla quale tutti possono dedurre che siamo discepoli di Cristo. Gesù oggi ce lo dice in maniera molto chiara: "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri". Non diranno di noi che siamo cristiani se portiamo una croce al collo: anche da quello, ma non solo, e non principalmente da quello. Non diranno di noi che siamo cristiani se riempiamo le nostre chiese (a patto di riuscirci ancora..) o se facciamo delle belle celebrazioni in occasione delle nostre feste: anche da quello, ma non solo e non direttamente da quello. Capiranno, anzi, gli altri dovrebbero poter capire da noi che siamo cristiani da come ci amiamo, da come ci vogliamo bene. Cosa possono pensare di noi gli altri se, pur professando la nostra fede in maniera evidente, ci vedono mancarci di rispetto, trattarci con disprezzo, invidiarci, vivere di gelosie, sentirci superiori agli altri? E questo, chi non crede in Cristo ce lo rinfaccia: da personaggi storici come Gandhi ("Io amo e stimo Gesù, ma non sono cristiano. Lo diventerei se solo vedessi un cristiano amare come lui ha amato") all'uomo della strada ("Ma guarda tu: vanno a messa tutte le domeniche e poi si odiano tra fratelli e sorelle!")... "È umano - ci verrebbe da ribattere - Ogni uomo, cristiano o no, commette degli errori, per cui non è giusto che ci vengano rinfacciati. Tutti gli uomini devono essere capaci di amare, non è un'esclusiva di noi cristiani!". Può darsi. Ma a me colpisce il fatto che Gesù in tutta la sua vita di predicatore e maestro non abbia dato ai suoi discepoli altro comandamento che questo; e che l'abbia dato loro solo alla fine, la sera prima di morire, come un testamento; e che Giovanni nel suo Vangelo lo scriva per tre volte in due soli versetti; e che Gesù stesso lo definisca "un comandamento nuovo". Nuovo? Cos'ha di nuovo, questo comandamento, se l'amore è antico come il mondo? C'è qualcosa di veramente "nuovo", nel comandamento dell'amore di Gesù. Nuovo è, innanzitutto, Lui, l'Uomo Nuovo, Colui che passato attraverso la tribolazione della croce "ha fatto nuove tutte le cose", perché - sempre secondo Giovanni, nell'Apocalisse di oggi - "non ci sarà più la morte, e le cose di prima sono passate". Nuovo è il fatto che noi dobbiamo viverlo "come lui" l'ha vissuto, cioè fino in fondo, senza riserve, in maniera disinteressata, fino al dono estremo di noi stessi per gli altri. Ma la novità assoluta di questo comandamento è che l'amore costituisce il distintivo dei discepoli di Cristo. Se un uomo di fede, di qualsiasi fede, cerca di definire la propria identità attraverso un segno esteriore che lo distingua dagli altri, il cristiano dice agli altri ciò che lui è amandoli. E amandoli fino in fondo, come ha fatto il Maestro. Croci, certificati di battesimo, di buona condotta o di idoneità cristiana, campanili belli e slanciati e chiese monumentali, grandi opere di ispirazione cattolica e leggi che rivendichino le nostre radici culturali cristiane... tutte cose belle, e ci stanno. Ma nulla può essere più nuovo, più bello e più grande dell'amore. |