Omelia (11-05-2025)
diac. Vito Calella
Ascoltare la voce del Pastore e, amati, esser parte del suo gregge.

Il giorno del Signore è per celebrare uniti la morte e risurrezione di Gesù
La motivazione che ci spinge a celebrare ogni domenica il "Giorno del Signore" è la potenza salvifica dell'evento della morte e risurrezione di Gesù. La Parola di Dio, attraverso il libro dell'Apocalisse, ci fa contemplare Gesù Cristo crocifisso e risuscitato nella figura dell' "Agnello glorificato" che siede presso il trono della maestà di Dio e, allo stesso tempo, nella figura del pastore. Leggendo il Vangelo di Giovanni, scopriamo che Giovanni Battista, all'inizio della missione di Gesù, aveva profetizzato che il Nazareno era davvero «l'Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo» (Gv 1,29-36). Andrea, fratello di Simon Pietro, e l'altro discepolo, quando «udirono le parole di Giovanni Battista, seguirono Gesù» (Gv 1,40). Divennero come pecore che seguono il vero pastore, lo stesso che era stato indicato come "agnello". L'immagine simbolica dell'agnello è un chiaro riferimento alla morte di Gesù sulla croce, paragonata al sacrificio di olocausto che si svolgeva nel tempio di Gerusalemme. L'autore della Lettera agli Ebrei contempla Gesù che si è offerto «una volta per tutte» per la salvezza dell'umanità e del mondo creato (cfr. Eb 8,1-9,28). Egli è «la vittima di espiazione per i nostri peccati» (1 Gv 4,10) che è diventato il sommo sacerdote definitivo, capace di perdonare i nostri peccati, in nome della «bontà del Signore e nostro Dio, che dura per sempre, e del suo amore che è fedele in eterno» (Sal 99,5). L'apostolo Giovanni, nel Libro dell'Apocalisse, contempla l'Agnello immolato, ora glorificato «presso il trono» della gloria di Dio Padre, come se fosse allo stesso tempo il «[bello-buono] Pastore che condurrà [le sue pecore] a sorgenti d'acqua di vita e asciugherà le lacrime dai loro occhi» (Ap 7,17). Questa Parola di Dio, ascoltata, pregata, custodita nel cuore e nella mente, diventa una realtà visibile e liberante nel dono dell'Eucaristia. Per questo, prima di ricevere la comunione con il corpo e il sangue di Cristo, presenza reale nel pane e nel vino consacrati dallo Spirito Santo attraverso il ministero sacerdotale, siamo invitati a cantare: "Agnello di Dio che togli il peccato del mondo, abbi pietà di noi, donaci la pace" e ad accogliere la sacra presenza di Cristo nel sacramento dell'Eucaristia: "Ecco l'Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo".
Oggi potremmo rispondere: "Signore, non sono degno che tu entri nella mia casa, ma diventa il mio unico pastore ed io sarò salvato".
La sfida di imparare ad ascoltare le parole di nostro Signore Gesù Cristo
Non sono degno che tu entri nella mia dimora, la dimora del mio corpo, della mia mente e del mio cuore, perché non ho ancora imparato ad ascoltare la tua Parola e a fare davvero la scelta di fede che mi fa cantare con gioia e gratitudine ciò che sperimentò lo stesso apostolo Paolo quando scrisse: «Non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2,20). Il testo degli Atti degli Apostoli, nel contesto del primo viaggio missionario di Paolo e Barnaba (cfr. At 13,1-14,28), che è stato proposto come prima lettura per questa quarta domenica di Pasqua, ci colloca ad Antiochia di Pisidia. Da una parte, c'erano «molti Giudei e prosèliti credenti in Dio seguirono Paolo e Bàrnaba ed essi, intrattenendosi con loro, cercavano di persuaderli a perseverare nella grazia di Dio» (At 13,43). Quel gruppo divenne una moltitudine di persone, perché «il sabato seguente quasi tutta la città si radunò per ascoltare la parola del Signore» (At 13,44). Dall'altra parte, i capi della sinagoga ebraica si chiusero all'ascolto della Parola di Dio. Presi dall'invidia, si opposero duramente alla predicazione del Vangelo da parte dell'apostolo Paolo e di Barnaba (cfr. At 13,45). L'opposizione si trasformò in una violenta persecuzione che portò all'espulsione di Paolo e Barnaba dalla città.
È la stessa opposizione che Gesù incontrò a Gerusalemme quando si rivelò a tutti come il «Pastore bello e buono». Dopo aver rivelato la sua comunione con il Padre, dicendo: «Io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv 10,30), Gesù rischò seriamente la vita! Continuando la lettura del Vangelo, l'evangelista riferisce che «i Giudei presero di nuovo delle pietre per lapidare Gesù» (Gv 10,31). Gesù era stato accusato di aver bestemmiato quando aveva detto che «il Padre era in lui ed egli nel Padre» (Gv 10,38c). Per questo motivo, «cercarono di nuovo di catturarlo. Ma egli sfuggì dalle loro mani» (Gv 10,39).
La difficoltà di ascoltare le parole di Gesù in un atteggiamento di preghiera e di accoglienza, il rifiuto di ascoltare la Parola di Dio a causa del nostro egoismo umano ci portano a seguire falsi pastori e a confidare in proposte illusorie di felicità. Ci sono folle di persone che ascoltano e registrano le parole e i gesti delle pop star o degli influencer dei social media. Ci sono folle di persone che stanno incollate al cellulare navigando su internet, senza prendersi un minuto per ascoltare in preghiera, in silenzio e con pazienza un testo della Parola di Dio. Noi vogliamo scegliere oggi di «ascoltare la voce di Gesù, il Buon Pastore» (cfr. Gv 10,27a), per sentirci amati, liberati e far parte del suo gregge.
Vogliamo fare l'esperienza di «sentirci amati» da Gesù Cristo, perché questo è il vero significato del suo «conoscerci» (Gv 10,27b). Gesù Cristo ci conosce e ci accetta così come siamo, con tutte le nostre fragilità umane, e vuole un rapporto di comunione della stessa qualità che lui ha con Dio Padre. Vogliamo essere «una sola cosa in Cristo» come Gesù è «una sola cosa con il Padre» (Gv 10,30), in nome dei sacramenti dell'iniziazione cristiana, come ci insegna l'inno della lettera ai Galati: «Voi tutti siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù. Tutti voi che siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è più Giudeo o Greco, schiavo o libero, maschio o femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,26-28). Vogliamo essere grati di essere diventati "popolo di Dio", con Gesù Cristo che è «pastore e custode delle nostre anime, perché dalle sue ferite siamo stati guariti quando ancora eravamo sbandati come pecore senza pastore» (cfr. 1 Pt 2, 25). E come «suo popolo e suo gregge» (Sal 99,3) vogliamo custodire in noi ciò che ha detto Papa Leone XIV il giorno del suo primo saluto a tutta la Chiesa: «Dio ci ama e vi ama tutti. Il male non prevarrà. Siamo tutti nelle mani di Dio! Quindi, senza paura, uniti, mano nella mano con Dio e tra di noi, andiamo avanti! Siamo discepoli di Cristo. Cristo ci precede. Il mondo ha bisogno della sua luce. L'umanità ha bisogno di lui come ponte per essere raggiunta da Dio e dal suo amore. Aiutateci, anche voi, a costruire ponti, attraverso il dialogo, attraverso l'incontro! Uniamoci tutti affinché possiamo essere un solo popolo, sempre in pace».
Gesù, il Buon Pastore, è la nostra sicurezza, perché oggi ci dice: «Io vi do la vita eterna e non andrete perduti in eterno e nessuno vi strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me ha dato a voi, è più grande di tutti e nessuno può strapparvi dalla mano del Padre» (Gv 10,28-29). La vita eterna è il dono dello Spirito Santo che rende Gesù eternamente "uno con il Padre" e noi sempre "uno in Cristo", lavorando insieme per costruire ponti, promuovere il dialogo, la pace e la giustizia, pronti ad affrontare tutti i conflitti, tutte le persecuzioni, tutte le avversità, affinché lo Spirito Santo in noi ci possa condurre alla conversione dei nostri cuori e possa realizzare effettivamente la pace di Cristo risorto a partire dalla rete delle nostre relazioni con i familiari, gli amici, i fratelli e le sorelle della comunità, i colleghi di lavoro, credendo nella forza vittoriosa dell'amore gratuito divino su tutte le situazioni di male che incontriamo nella realtà in cui viviamo.
Vogliamo compartecipare alla morte e alla risurrezione di Gesù, assumendo la lotta per la pace e per la dignità di tutte le creature, vivendo la santità come sacrificio d'amore e di donazione. Dopo la nostra morte vogliamo sentirci accolti in quella «grande moltitudine di gente di ogni nazione, tribù, popolo e lingua, che nessuno può contare, in piedi davanti al trono e all'Agnello, con vesti bianche e palme in mano, perché abbiamo lavato e reso candide le nostre vesti nel sangue dell'Agnello» (cfr. Ap 7,9.14b).