Omelia (04-05-2025) |
don Lucio D'Abbraccio |
Sulle rive della nostra vita: riconoscere, amare, seguire! Siamo nella terza domenica di Pasqua, e il Vangelo di Giovanni ci porta sulle rive del lago di Tiberiade, un luogo familiare ai discepoli, un luogo di lavoro, di fatica, ma oggi anche un luogo di un nuovo, sorprendente incontro con il Signore Risorto. Dopo gli eventi sconvolgenti della Passione, Morte e Risurrezione, sembra quasi che i discepoli cerchino di tornare a una sorta di normalità. Pietro, forse un po' smarrito, dice: «Io vado a pescare». E gli altri lo seguono. Tornano al loro mestiere, a ciò che conoscevano prima dell'incontro con Gesù. Quante volte anche noi, dopo momenti forti di fede o esperienze spirituali intense, sentiamo il bisogno di tornare alla nostra «normalità», alla nostra routine, forse anche con un velo di stanchezza o di incertezza sul futuro? Ma quella notte, la loro fatica è vana. «Non presero nulla». Questo dettaglio non è casuale. Ci ricorda che senza di Lui, senza la Sua presenza e la Sua guida, le nostre fatiche, anche quelle più oneste e impegnate, rischiano di rimanere sterili, vuote. Possiamo darci da fare in tanti campi - nel lavoro, in famiglia, persino nelle attività pastorali - ma se manca il collegamento vitale con Cristo, rischiamo di gettare le reti invano. Ed ecco che, alle prime luci dell'alba, una figura appare sulla riva. Non lo riconoscono subito. È Gesù, ma i loro occhi sono come velati. Ci chiede, come chiese a loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». È la domanda di chi si prende cura, di chi conosce la nostra stanchezza e la nostra fame. Poi, l'indicazione: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». È un invito alla fiducia, a provare ancora, ma questa volta seguendo la Sua parola. I discepoli obbediscono. Forse per sfinimento, forse per un'intuizione nascosta. E avviene il miracolo: una pesca così abbondante che non riescono nemmeno a tirare su la rete. È in questo segno sovrabbondante, in questa generosità inattesa che supera ogni sforzo umano, che il discepolo amato, Giovanni, riconosce il Maestro: «È il Signore!». Come possiamo riconoscere il Signore nella nostra vita oggi? Forse non sempre in eventi straordinari, ma spesso nei segni della Sua Provvidenza, in un aiuto inaspettato, nella forza che troviamo dopo aver pregato, nei frutti abbondanti che raccogliamo quando agiamo secondo la Sua volontà e non solo secondo i nostri calcoli. Lo riconosciamo nell'Eucaristia, dove Egli stesso si fa cibo sulla riva della nostra esistenza. Lo riconosciamo nella comunità riunita nel Suo nome. L'incontro sulla riva culmina in due momenti significativi: il pasto preparato da Gesù stesso - pane e pesce arrostito, segno della Sua cura premurosa e anticipazione del banchetto eucaristico - e il dialogo intimo e toccante con Pietro. «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Per tre volte, Gesù pone a Pietro la domanda sull'amore. Tre volte, come tre erano state le negazioni di Pietro nel cortile del sommo sacerdote. Non è un rimprovero, ma una possibilità di guarigione, di redenzione. Gesù non chiede a Pietro se è pentito, se si sente in colpa, ma gli chiede se lo ama. L'amore è la chiave per la ricostruzione, per il perdono, per un nuovo inizio. Pietro, addolorato ma sincero, risponde con umiltà: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Usa un amore più umano, affettivo (philéo), ma Gesù lo accoglie. Lo accoglie lì dov'è, con l'amore che è capace di dare in quel momento. E ad ogni affermazione d'amore, segue un mandato: «Pasci i miei agnelli», «Pascola le mie pecore». L'amore per Cristo non può rimanere un sentimento intimo e privato. Deve tradursi in cura per gli altri, in servizio concreto verso i fratelli e le sorelle, specialmente i più fragili ("agnelli") e l'intera comunità ("pecore"). Amare Gesù significa prendersi cura di ciò che Lui ama. Infine, l'invito perentorio: «Seguimi». Dopo aver riconosciuto il Signore, dopo avergli professato il nostro amore (anche se imperfetto), dopo aver accolto il mandato di servire, non resta che una cosa: seguirlo. Seguirlo sulla via che Lui traccia, che per Pietro significherà dare la vita, ma che per tutti noi significa conformare la nostra esistenza alla Sua, giorno dopo giorno, nelle gioie e nelle fatiche. Ebbene, anche noi oggi siamo su quella riva. Forse stanchi per le nostre notti infruttuose, forse incerti sul futuro. Il Signore Risorto è qui. Ci chiede se abbiamo qualcosa da «mangiare» per la nostra anima. Ci invita a gettare di nuovo le reti con fiducia nella Sua parola. Ci prepara un pasto che ristora. Ci chiede, con infinita tenerezza: «Mi ami tu?». E se, come Pietro, rispondiamo con sincerità dal profondo del nostro cuore, Egli ci affida i Suoi fratelli e ci dice ancora: «Seguimi». Che lo Spirito Santo ci doni occhi per riconoscerlo presente nella nostra quotidianità, un cuore capace di amarlo sopra ogni cosa, e piedi pronti a seguirlo sulla via del servizio e dell'amore. Amen! |