Omelia (04-05-2025)
don Andrea Varliero
La terza sera

Le tre sere di Pasqua: una nella casa, l'altra nella coscienza, l'ultima in riva al lago. La prima sera è entrato nella casa chiusa a chiave dalla paura. Quella sera, sprangati dall'angoscia per una vita fallita e dal terrore di essere trascinati fuori crocifissi come Lui, ha attraversato le porte chiuse, si è messo a tavola con loro. «Pace a voi!»: è stato il primo grido del Risorto, Pace che tarda ad arrivare. Quella sera, dentro la paura, ha soffiato vita: lo Spirito. Sera di vento e di libertà.
La seconda sera è entrato ancora più in profondità: nella coscienza e nel dubbio. Volto a volto, Lui e Tommaso, si sono lasciati incontrare come corpo ferito, ha incontrato i nostri dubbi e le nostre domande. «Beati quelli che crederanno!»: è stata la sua ultima e la prima beatitudine, coniugata al futuro. Quella sera ci siamo sentiti di gridargli: «Mio Signore e mio Dio!». Sera di intimità.
La terza sera è entrato nel mondo, nella vita di ogni giorno. In una sera senza tempo sulle rive del bellissimo lago di Tiberiade, specchio di acqua dolce, di bouganville, di colline e di brezza leggera. Un lago dove cielo e terra si rispecchiano, dove si respira un qualcosa di bello. Lì, ai bordi del lago, Pietro e gli altri conoscono la noia, il non sapere che cosa fare, il nemico mortale delle nostre giornate. La noia che ci assale quando lavoriamo, quando siamo a Messa, quando preghiamo, persino in vacanza, quando stiamo con chi amiamo. La noia come condizione del cuore, indicatore prezioso che sussurra che non stiamo vivendo tutta la vita che c'è da vivere, che questa vita non è all'altezza della vita vera, piena. Manca qualcosa. «Io vado a pescare»: dice Pietro in risposta alla noia, a quella mancanza di vita piena. Riprendo i gesti sicuri, il lavoro di sempre, riprendo le reti tra queste mani e questa piccola zona di acqua dove ho pescato per una vita intera. Anche noi con te, rispondono gli altri.
E vivono un'intera notte di noia, senza pescare niente. «Getta le tue reti dall'altra parte», dice la voce, sulla riva, a Pietro, sulla barca. Prova, per una volta, una strada altra, un pensiero altro, una stretta di mano altra, prova una cosa nuova a questa notte di noia. Getta dove non hai mai provato, esci dal solito giro; prova, per una volta, la meraviglia e lo stupore di un nuovo inizio. La meraviglia in ciò che è nuovo. Lo stupore che sta nella realtà e sta nel cuore che sa accoglierla: lo stupore di Pasqua per un amico, un libro, un panorama, il quadro di un artista, un progetto da realizzare, lo stupore di novità persino per Dio. Ci annoiamo, non abbiamo preso nulla per una notte intera, perché ci siamo accontentati della superficie, ma la vita non si inganna. Occorre pescare il Signore risorto con impegno e attenzione. Non sempre abbiamo questo coraggio, per questo costringiamo noi e i nostri figli a riempire il tempo come una specie di stomaco bulimico. Abbiamo paura di annoiarci, abbiamo paura che i nostri ragazzi si annoino. Ma proprio la noia ci costringe a cercare quell'equilibrio che manca. È quella noia che ci porta a contatto con la nostra vita, con quella parte di noi che sentiamo manca. Ringrazio quel primo passo di Pietro, ringrazio quell'accordare una fiducia a quella voce, ringrazio quell'alba in riva al lago.
Lì, sul lago del mondo, avviene una pesca moltiplicata, avviene un qualcosa di generoso e di vitale. È il Signore! È il Risorto! Il Risorto inizia quando percepisco il dono tra le mie mani, quando sento la vita risorta è più forte della noia mortale. Il Risorto lo riconosco quando mi siedo e accendo un falò lungo il lago, accolgo un amico come una novità, un tramonto come uno stupore, un povero come un dono. Lì, sul lago del mondo, per tre volte a Pietro è posta una domanda: «Mi ami? Mi ami? Mi sei amico?». Sono tre domande che si abbassano sempre di più, partono dalla richiesta di un amore forte per inchinarsi all'essere amici. Pietro piange per questo, si sente serrato: cerco Signore, cerco di volerti bene, di esserti amico. Non un grande, totale, immenso amore, ma un piccolo gesto quotidiano che dice: «Tu sai che ti voglio bene, che ti sono amico». Una piccola amicizia, una piccola pace, una piccola resurrezione per ogni giorno.
La prima sera, la Pasqua ha avuto la forza del vento che ha aperto nuovi orizzonti. La seconda sera, la Pasqua ha avuto l'intimità di un corpo incontrato con le ferite ancora aperte. Questa sera, la Pasqua ha il sapore del Pane, il gusto del companatico. La realtà sa di Pane, lo stupore che nasce da questa bellissima liturgia che viviamo di domenica in domenica, ai bordi del lago della nostra vita. Ti voglio bene. Abbiamo paura di dirlo, temiamo di essere rifiutati, lo diamo per scontato: in questa sera di Pasqua, no. È quello che rimane: ti voglio bene! (don Andrea)