Omelia (27-04-2025) |
padre Gian Franco Scarpitta |
La fede non ha condizioni Una volta risuscitato, Gesù deve espletare due funzioni che lo impegneranno per quaranta giorni, esattamente lo stesso tempo che aveva trascorso nel deserto prima dell'inizio del suo ministero: 1) Recuperare nei suoi discepoli la fede in lui, che dopo la sua crocifissione si era dispersa o illanguidita, 2) inaugurare il "tempo della Chiesa", durante il quale i suoi apostoli avrebbero dovuto annunciare, egli presente nella forma invisibile, la sua stessa Resurrezione e la salvezza (il Vangelo in tutte le nazioni. Effettivamente, una volta che Gesù sarà asceso al Cielo, in forza dello Spirito Santo che egli donerà loro senza riserve nel giorno della Pentecoste ebraica, gli apostoli saranno testimoni della sua Resurrezione. La prima Lettura descrive l'apostolato di Pietro e dei suoi fratelli, che sulla scia del loro Maestro ormai asceso al cielo, vivono la comunione, la concordia e per loro mezzo lo stesso Signore opera portenti e prodigi, come la guarigione di storpi e ammalati con la sola ombra del mantello di Pietro. La missione della Chiesa sarà quella infatti di dare testimonianza al Risorto con le parole, ma soprattutto con la concretezza dei fatti che le accompagnano. Il tempo della Chiesa sarà quello in cui lo stesso Risorto, sia pure nella forma misterica e silente, opererà nel loro stesso agire per mezzo dello Spirito Santo. Gesù peraltro aveva conferito lo Spirito ai suoi discepoli già appena tornato in vita, alitando su di loro perché con la Sua assistenza potessero perpetuare e la sua presenza da Risorto a tutti gli uomini. Il primo dei due compiti risulta invece il più difficile, perché, da quello che riportano tutti gli evangelisti, i suoi discepoli, compresi gli Undici, non credettero immediatamente alla sua Resurrezione quando le donne recatesi al sepolcro di buon mattino trovarono la pietra divelta e il cadavere scomparso, ricevendo anche una visione di angeli. Ad eccezione del "discepolo che Gesù amava", che corso al sepolcro vi entrò e "vide e credette"(Gv 20, 8), tutti furono scettici che Gesù potesse essere risorto dai morti. Luca descrive che al suo apparire i discepoli credettero di vedere un fantasma e Marco addirittura dice che Gesù li rimprovera per non aver creduto alle testimonianze di altri che rivelavano che lui era risorto. Considerati questi punti di vista, Tommaso non è l'unico colpevole della mancata fede nella Resurrezione del Signore, poiché anche Pietro (che tornò a casa sconvolto dopo aver visto il sepolcro privo del cadavere) e gli altri esitavano a credere. Avrebbero invece dovuto considerare più attentamente le parole che lo stesso Gesù aveva detto in precedenza e che corrispondevano alle predizioni della Scrittura: "Era necessario che il Figlio dell'Uomo fosse riprovato dagli anziani, scribi e farisei, che fosse messo a morte e il terzo giorno resuscitasse." Esse erano sufficienti a rivelare il mistero del Messia Salvatore e Redentore che affermava la sua potenza in ciò che noi definiamo debolezza e assurdità, cioè nella morte." Tommaso, a differenza di altri, ha la pretesa di esperienza empirica, ossia di percepire sensorialmente con il tatto l'evidenza della presenza di Gesù Risorto. Il discepolo che Gesù amava, corso al sepolcro, "vide e credette", Tommaso vuole toccare, tastare e accertarsi: come il medico tasta il polso o l'attività cerebrale del paziente per verificare se è ancora in vita, Tommaso vuole palpare con le dita i segni della resurrezione. Si tratta di una pretesa scientifica che spesso viene avanzata anche ai nostri giorni in fatto di fede, perché non ci si vuole accontentare dell'accettazione del mistero rivelato in quanto tale, ma perché lo si vuole appurare e verificare, si vuole averne le prove inconfutabili per voler credere. Si esige di "provare per credere", come diceva un vecchio spot. E invece la fede esclude ogni verificabilità empirica. Popper diceva che la verità sta nel "falsificazionismo", cioè la si trova falsificando e smentendo un dato oggettivo. La sofistica e la scienza empirica affermano al contrario che la verità risiede nella certezza matematica e nella sperimentazione: la fede invece è "fondamento delle cose che si sperano, prova di quelle che non si vedono"(Eb 11, 1) e vuole semplicemente apertura e accoglienza. Esclude che si indugi si fronte al Trascendente che ci si rivela e che semplicemente si creda e lo si accolga. La fede è corrispondenza libera e disinvolta alla Rivelazione, alla Parola che Dio non cessa comunicarci e alla sua manifestazione. A predisporci alla vera fede è l'umiltà, cioè la rinuncia ad ogni resistenza: dall'essere umili inizia l'avventura dell'accoglienza libera e incondizionata del mistero che ci viene rivelato, che persiste nella constante familiarità con Dio e ancor di più nella concretizzazione dell'una e dell'altra nella carità. La fede è l'atteggiamento semplice e umile di chi non oppone resistenza alcuna al mistero del Dio amore che ci raggiunge in ciò che per noi è comunemente assurdo e inverosimile. E' l'accoglienza, la riverenza incondizionata del cuore che si apre verso ciò che è Grande ma che si fa piccolo per noi. Credere certamente conosce delle zone d'ombra e non di rado può comportare smarrimenti momentanei; in ogni caso comporta sempre l'assistenza della grazia e l'umiltà di dover chiedere aiuto allo stesso Signore come nel caso di quel padre di famiglia che, chiedendo un intervento prodigale a favore del figlio: "Credo, Aiutami nell'incredulità." (Mc 13, 24) perché si tratta di un dono divino che ci porta dove altri non possono arrivare. |