Omelia (27-04-2025) |
don Alberto Brignoli |
Credere da soli? Non serve a nulla... Luca ci parla degli Apostoli descrivendo sin dal momento dell'ascensione in cielo di Gesù i loro "Atti", le loro azioni: e nella prima lettura di oggi ci dice che "erano soliti stare insieme nel portico di Salomone, e nessuno degli altri osava associarsi a loro". Ma, poco più avanti, continua dicendo che "sempre più si aggiungevano a loro una moltitudine di uomini e donne credenti nel Signore". Di fronte, quindi, al gruppo degli Apostoli che inizia ad annunciare la fede nel Signore Risorto, gli atteggiamenti sono contrastanti. C'è chi si rifiuta di associarsi a loro e chi, invece, a loro si aggiunge; c'è chi prende le distanze e chi aderisce a questa nuova dottrina. Questo duplice atteggiamento nei loro confronti riflette, a mio avviso, una certa "doppiezza" nel comportamento degli Apostoli stessi. Per doppiezza non intendo ambiguità o falsità, ma la intendo nel senso dell'incertezza, del "dubbio", della situazione di incapacità a decidere, a scegliere "pro" o "contro" la testimonianza esplicita della Risurrezione di Gesù. Guardiamo, ad esempio, tutte le narrazioni dei cosiddetti "vangeli delle apparizioni" che abbiamo letto durante questa settimana dell'Ottava di Pasqua. Quasi tutti hanno una costante, quella di un'iniziale incapacità, da parte dei suoi discepoli, a riconoscere il Risorto: è solo il forte amore reciproco che fa sì che Maria Maddalena riconosca Gesù nel momento in cui si sente chiamata per nome; con i discepoli di Emmaus, il Maestro deve fare "memoria" della sua Passione e Morte attraverso lo spezzare del pane, perché essi lo possano riconoscere; sarà la grazia di una pesca abbondante che permetterà ai sette discepoli sul Lago di Tiberiade di riconoscere il Signore. Questo contesto di dubbi e incertezze ci aiuta a comprendere meglio la vicenda del "dubbioso" per eccellenza tra gli Apostoli, Tommaso, il cui soprannome ("Didimo", "Gemello") suona da sottile ironia sulla sua "doppiezza". Se c'è gente che fa fatica ad associarsi agli Apostoli perché dubita a riguardo della loro dottrina, tra gli stessi Undici - e tra l'altro il giorno stesso della Risurrezione - c'è già chi sceglie di non associarsi agli altri. Tommaso, infatti, quando Gesù appare ai suoi la sera di Pasqua, non era già più con loro. Io nutro una particolare simpatia per questo discepolo, additato dalla tradizione come il miscredente, l'uomo di poca fede, il simbolo di un ateismo scientifico che vuole mettere alla prova l'esistenza di Dio: in realtà, non è così. Tommaso è un uomo che, come gli altri dieci, non si dà pace per la morte del Signore, ma dimostra di avere un carattere forte, e reagisce diversamente dagli altri cercando da subito di tornare alla vita di prima. È un uomo pieno di vita e di coraggio, uno che non si chiude dentro il Cenacolo come gli altri, uno che non chiude - come gli altri - le porte di casa per paura dei Giudei. Tuttavia, Tommaso scappa dal confronto con il Risorto. Per lui è tutto finito, e non c'è speranza che qualcosa ricominci: è stata troppo cruenta quella morte per sperare che la vita possa riprendere. E allora fa il duro, fa quello che preferisce non credere agli annunci degli altri, quello che pone condizioni alla fede. In fondo, il problema che lo assilla è la sua chiusura, la sua solitudine, che sfocia poi nella decisione di dissociarsi dagli altri per credere in Gesù "a modo suo" ("se non vedo io i segni della resurrezione... se non metto io il mio dito nel costato..."). Ma il Risorto si incontra e si riconosce solo nella comunità, nella Chiesa (radunata in assemblea "otto giorni dopo" - come dice il Vangelo - e "nel giorno del Signore", come viene rivelato allo stesso Giovanni nel brano di Apocalisse della seconda lettura): non puoi, cioè, avere la pretesa di mettere alla prova Dio da solo. O accetti che la vita di fede è fatta di un cammino comunitario, con tutte le sue angosce, le sue chiusure e le sue paure, o Dio non lo potrai mai incontrare, nemmeno attraverso le più accurate ricerche e prove scientifiche o le più eloquenti disquisizioni teologiche. È questione di fede, la Resurrezione: e Gesù Cristo non ha paura di sfidare l'uomo su questo. È lui stesso che, otto giorni dopo, va a "punzecchiare" Tommaso sfidandolo: "Tendi la tua mano e mettila nel mio fianco. E non essere incredulo, ma credente!". Il grido di Tommaso è una delle più belle espressioni di fede del Vangelo: "Mio Signore e mio Dio!". Il Risorto è veramente "mio Dio", perché è onnipotente, anche sulla morte, ed è "mio Signore", cioè Colui che regna sulla storia, sulla mia storia e su quella dell'umanità, per sempre. Non possiamo avere la pretesa di sfidare Dio sulla sua Divinità né sulla sua Signoria nella storia: solo, occorre fare una professione di fede, anche quando dentro di noi vorremmo avere certezze e prove, che Dio ci offre solo se accettiamo un cammino all'interno di una comunità, di una Chiesa. Tommaso voleva un Dio solo per sé, a sua misura, basato sulla sua fede. Gesù vuole invece che Tommaso faccia un cammino di fede nella comunità: al di fuori di essa, il Risorto non si rivela. La vicenda di Tommaso è uno stimolo e una provocazione per noi come Chiesa: se non stiamo insieme, come facevano i primi discepoli, nel vivere la gioia e la fede nel Cristo Risorto, il Signore non può essere in mezzo a noi. Una fede personale, esclusiva, su misura, magari tirata in ballo solo quando ne sentiamo il bisogno, può anche essere intensa e incrollabile: ma non serve a nulla e a nessuno, e soprattutto non può dirsi cristiana. Dove invece c'è concordia, spirito di preghiera, amore e solidarietà, il Signore viene, sta in mezzo a noi sia pur a porte chiuse, e ci consegna i suoi doni più grandi: il perdono e la pace. |