Omelia (27-04-2025) |
Paolo De Martino |
Tommaso: da apostolo a credente É la sera del giorno di Pasqua. i discepoli sono blindati in casa. Hanno paura. Non sanno cosa fare. Si credevano uomini, pronti a tutto, ora se ne stanno nascosti e tremanti nel cenacolo. Le cose non sono andate come si aspettavano. Avevano paura perché il mandato di cattura era per tutto il gruppo. E poi l'uomo che diceva essere il figlio di Dio, giaceva in un sepolcro. Ogni speranza era stata delusa con la paura ora di fare la stessa fine. Però restano insieme, non si separano, si fanno coraggio a vicenda, condividono le loro fragilità Ma Gesù, ancora una volta, li sorprende e si presenta in mezzo a loro. Che bello vedere che le porte chiuse non fermano il Signore, l'incredulità non arresta il desiderio di Dio di incontrarci. Le nostre chiusure non fermano il Risorto! Il Suo amore è più forte delle nostre paure. L'Abbandonato ritorna da coloro che sanno solo tradire e abbandonare. Pace Immagino si aspettassero un rimprovero, in fondo lo avevano lasciato solo e tradito ma Gesù non porta rancore, annuncia la pace e dona lo Spirito: «Pace a voi!». Le prime parole del Risorto sono un dono di felicità. Non è un invito o un augurio (non dice "La pace sia con voi"), ma è un'affermazione, un dono: la pace è qui, è in voi, è iniziata. Pace sulle vostre paure, sui vostri sensi di colpa, sui sogni svaniti. Il Risorto dona tutto quello che concorre alla felicità dell'uomo. Lo so' è difficile credere alla risurrezione, a una notizia così bella. In questo cammino abbiamo un compagno di viaggio: Tommaso. Quella sera mancavano due apostoli all'appello: Giuda Iscariota e Tommaso. L'apostolo che aveva consegnato Gesù, pensava di sapere meglio di lui quale dovesse essere la missione dell'Unto di Dio ma vedendo sulle sue mani il sangue di un uomo innocente, aveva disperato e si era ucciso. L'altro era Tommaso. Giovanni non dice perché non era presente quella sera. Didimo Tommaso è un uomo pieno di vita e di coraggio, uno che non si chiude dentro il Cenacolo come gli altri. Strano destino il suo. Ha fatto la più bella espressione di fede nei vangeli ed è passato alla storia come l'incredulo. Nel Vangelo di Giovanni il suo nome viene ripetuto sette volte (il numero della totalità) e per tre volte viene detto "didimo", il gemello. La cosa strana è che l'altro «gemello» di Tommaso non compare mai nei vangeli. Di chi è il gemello allora? Tommaso è nostro gemello, è «uno dei dodici» (come Giuda!) prototipo del discepolo. Amico lettore, anche noi, come lui, pensiamo di credere in Lui, di voler morire per Lui ma non accettiamo che è Lui che sia morto per noi. In fondo siamo noi Tommaso, che per credere non ci accontentiamo di ascoltare ma vogliamo toccare. Ci sentiamo vicini a Lui in una fede dubbiosa dimenticando che il dubbio è il lubrificante della fede (Maria, all'angelo che annuncia la nascita di Gesù, esprime dubbi...). Ma soprattutto Tommaso non crede ai suoi amici. Perché? Semplicemente perché non erano credibili. Come poteva credere a coloro che erano scappati sotto la croce, che avevano lasciato il maestro solo nel momento dell'angoscia. Erano stati degli ipocriti. Immagino avrà pensato: "Ma come posso credervi. Ma proprio tu Giacomo? Proprio tu Giovanni? Siete scappati tutti. E poi se davvero lo avete visto perché siete rinchiusi qui?". Ma poi come poteva credere a Pietro che lo aveva rinnegato per ben tre volte! Tommaso non crede che Gesù sia risorto perché vede ancora i suoi amici impauriti e chiusi dentro. È l'esperienza che viviamo noi quando annunciamo la bella notizia del vangelo e la gente fatica a crederci. Sapete perché? Perché siamo poco credibili. Quanta responsabilità abbiamo nell'incredulità dell'uomo di oggi! Tommaso non aveva bisogno di un racconto ma di un incontro. Ecco perché non abbandona il gruppo e dopo otto giorni è ancora là e fa bene perché il Risorto torna solo per lui! Ritorni Otto giorni dopo, le porte del cenacolo sono ancora chiuse. Anche per gli altri dieci il cammino è progressivo. Questo incontro, avviene dentro la comunità, non va a fargli visita a casa sua. Il luogo dell'incontro è la comunità riunita, una comunità mediocre che ha dovuto fare i conti anche con il tradimento di uno di loro. È confortante sapere che l'incontro con il Risorto non avviene in una comunità ideale e perfetta (che non esiste e non esisterà mai!), ma in quella in cui si vive, quella con la quale il Risorto ci ha chiamato a camminare. È lì dove viviamo che il Risorto vuole farsi incontrare. Gesù non concede a Tommaso apparizioni particolari, ma gli si presenta "Otto giorni dopo", cioè quando la comunità si riunisce di nuovo nella celebrazione dell'Eucaristia. È bello sapere che il Risorto, se tardiamo ad aprire la porta del nostro cuore, ritorna. Ha pazienza, non si stanca. E viene in cerca proprio di me. Come sempre va in cerca della pecorella smarrita. Tommaso cerca l'esperienza, sa che la fede è frutto di esperienza. Gesù dice a Tommaso di mettere il suo dito nei fori delle mani e nel fianco. La Pasqua non ha cancellato i segni della Passione, quelle ferite sono incancellabili. Gli sta ricordando che la resurrezione è il frutto maturo della morte in croce. Qual è la prova della risurrezione di Gesù? Il dolore e l'amore condiviso! È questa la sua onnipotenza. Le ferite del Risorto diventano feritoie d'amore. Amico lettore, non importa quanti fallimenti, Lui c'è! Non importa quante debolezze, Lui c'è! Non importa quanti tradimenti, Lui c'è! Tommaso, non tocca, si guarda bene dal farlo (sono i pittori che lo rappresentano con il dito infilato nelle piaghe ma Tommaso non lo fa!). Al contrario pronuncia la più alta professione di fede di tutti i Vangeli: «Mio Signore e mio Dio!». Tommaso capisce che è lui a dover lasciarsi toccare, a dover permettere allo sguardo di Gesù di posarsi sulle sue ferite. Amico lettore, la fede, nasce quando ti riconosci peccatore ferito, creatura povera, figlio ribelle, e permetti alla mano dolce del Signore, di toccare le tue ferite per guarirle. Il dito di Gesù, come un artista, modella l'opera d'arte che è Tommaso restituendogli dignità e grazia. Da quell'istante Tommaso fu tutto di Lui, per sempre, fino alla fine. Da quel momento Tommaso cambierà, fino a dare la vita. Gesù ha un'ultima beatitudine da regalare, la nostra: «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!» (Gv 20,29). Anche noi, come Tommaso, non c'eravamo il giorno di Pasqua tra i discepoli. Allora felici noi che, dopo duemila anni, con fatica cerchiamo di seguire il Maestro. Più il tempo s'allunga da quella prima Pasqua, più il credere sarà opera di uomini e donne capaci di mettere da parte i cinque sensi e credere finalmente alla gioia. Gesù vuole i suoi liberi dai segni esteriori. Gesù non rimprovera Tommaso perché vuole "toccare", ma perché non ha la pazienza di saper credere fino al punto di arrivare a "toccare". È la beatitudine per chi ricomincia, per chi fa fatica. Siamo noi quelli di cui parla Gesù, noi che ogni otto giorni, dopo duemila anni, continuiamo a riunirci nel suo nome anche se non lo abbiamo visto. Dio ci liberi da una fede talmente sicura di sé da diventare orgogliosa, disprezzante nei confronti di chi fa fatica a credere perché provato dalla vita! La bella notizia di questa domenica? La fede è arrivata a noi attraverso innumerevoli testimoni, i quali prima di noi sono andati "oltre". Ci vogliono altri occhi per vedere «ciò che non vediamo», e questi occhi li possiede la fede. Con essi è possibile superare la corteccia del visibile per penetrare nel mondo dell'invisibile, che è «l'essenziale». Per vedere il video commento clicca qui |