Omelia (07-04-2025)
Missionari della Via


I confronti tra farisei, scribi e Gesù erano intensi e carichi di tensione. Era chiaro che fossero alla ricerca di qualsiasi pretesto per accusarlo, alimentati dal desiderio di screditare il suo messaggio. Tuttavia, è possibile che alcuni tra loro tentassero, seppur con difficoltà, di comprenderlo, lottando contro i pregiudizi radicati nei loro cuori e cercando di conciliare la particolarità di Gesù con le proprie convinzioni. Queste ultime sono spesso all'origine di molte distorsioni della realtà. Ogni volta che, invece di lasciarci interrogare dalla realtà, cerchiamo di piegarla ai nostri schemi o di idealizzarla, perdiamo di vista la sua complessità. Va anche riconosciuto come non fosse semplice, per i sacerdoti dell'epoca, confrontarsi con un uomo che, apparendo simile a loro, affermava: «Io sono la luce del mondo!». In una situazione simile forse anche noi avremmo reagito con scetticismo, chiedendoci: "Ma dai testimonianza a te stesso? Sarà solo vanagloria?". Se da un lato i pregiudizi giocano un ruolo importante, dall'altro non si può ignorare l'esistenza di una difficoltà oggettiva nel comprendere l'unicità di Cristo. Eppure, ciò che Gesù ci insegna, anche in queste circostanze, è il rispetto incondizionato che dobbiamo agli altri, indipendentemente da come ci appaiono o da ciò che rappresentano per noi. Una chiave di lettura per il discernimento, per accorgerci della presenza di Gesù e non ingannarci, può venirci dalle parole: «Voi non conoscete né me, né il Padre mio». Quando ci avviciniamo alle cose di Dio, il nostro cuore si apre alla sensibilità verso la Sua presenza, che possiamo riconoscere sia nel mondo che negli altri. Questo non significa diventare "creduloni" o "sensitivi" ma sviluppare la capacità di discernere con profondità e di riconoscere la voce del Pastore, la somiglianza con Cristo. A volte potremmo essere come i farisei, certi delle nostre ragioni ma incapaci di utilizzare un'intelligenza non solo emotiva ma anche spirituale che ci permetta di cogliere i segni di Dio. Quando vedo un figlio che con dedizione si prende cura di un genitore anziano posso scorgere Dio all'opera in quell'amore; quando incontro un credente che si astiene dal giudicare o sparlare di qualcuno che ha sbagliato o che appare diverso, lì riconosco Dio che opera attraverso la carità. E quando vedo un sacerdote, un diacono o una consacrata che, con totale dedizione, si schiera dalla parte dei poveri pagando di persona, sento profondamente la presenza di Dio in azione. Ecco, conoscendo Dio possiamo avvertire la Sua opera concreta che si propaga nell'umanità. Non facciamo come coloro che seppure esperti delle leggi di Dio, non riconoscevano la Sua presenza. Dio ci liberi da una razionalità asfittica, ci renda sensibili alla Sua presenza.

"Quando perdi la sensibilità del tatto o del gusto, te ne accorgi subito. Invece, quella dell'anima, quella sensibilità dell'anima puoi ignorarla a lungo, vivere senza accorgerti che hai perso la sensibilità dell'anima. L'insensibilità dei sensi spirituali riguarda la compassione e la pietà, la vergogna e il rimorso, la fedeltà e la dedizione, la tenerezza e l'onore, la responsabilità propria e il dolore per l'altro. È curioso: l'insensibilità non ti fa capire la compassione, non ti fa capire la pietà, non ti fa provare vergogna o rimorso per avere fatto una cosa brutta" (papa Francesco).