| Omelia (08-01-2023) |
| fr. Massimo Rossi |
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Commento su Matteo 3,13-17 All'inizio dell'Avvento vi ho avvertiti che ciò che avrei detto a modo di bilancio preventivo, lo avrei ripetuto dopo Natale, quale bilancio consuntivo... Ci serva a combattere la tentazione di archiviare troppo in fretta il Natale... Calato il sipario sui fatti della nascita, facciamo un salto di 30anni e arriviamo sulle rive del Giordano dove Giovanni sta battezzando. Matteo riassume la predicazione del Battista con le stesse parole con le quali sintetizzerà più avanti la predicazione di Gesù: "Convertitevi! è vicino, infatti, il Regno di Dio.". E come il ministero del Precursore è introdotto con un riferimento a Isaia, così anche quello di Gesù. L'autore ispirato sottolinea dunque la continuità fra i due protagonisti della scena e il loro rispettivo mandato. Al tempo stesso, Matteo evidenzia anche aspetti di contrapposizione tra i due personaggi; in particolare il loro pensiero teologico. Due concezioni messianiche a confronto. Questo basta per rendere la distanza tra Giovanni e il Cristo. Procediamo con ordine. Nelle parole del Battista c'è un duplice invito, pressante, rivolto non ai pagani, ma ai pii israeliti che accorrono ad ascoltarlo. Primo: non cullarsi in facili e scontate sicurezze. La salvezza non è un fatto scontato per nessun! Non soltanto il pagano, non soltanto il peccatore son chiamati a convertirsi, ma anche il giusto. Secondo: il pio israelita - per noi, il cristiano praticante - è invitato ad uscire dalla propria visione particolaristica; alzi gli occhi, per incontrare gli occhi degli altri - il suo prossimo - impegnati come lui e con lui in un cammino faticoso verso la salvezza; un cammino da percorrere insieme: ebrei, cristiani, musulmani, pagani,... Ed eccoci al dialogo tra Gesù e il Battista: Matteo è l'unico a riportarlo, in appena due versetti. Il colloquio tra il Precursore e il Nazareno si regge su due parole-chiave nel progetto teologico del primo evangelista: "giustizia" e "compiere". Il Signore insiste per essere battezzato da Giovanni "affinché si compia ogni giustizia": la giustizia, per Matteo, è il piano di salvezza che il Verbo è venuto a compiere. Dunque, Gesù si sottopone lui stesso al battesimo perché ciò rientra nel progetto di Dio (cfr. Is 42,1-9). Il Battista rimprovera aspramente Farisei e Sadducei per la loro ostentata religiosità. È una religiosità troppo sicura di sé, fondata sulla Legge e sulla morale di Mosè, convinta del proprio prestigio nazionale. Più tardi Gesù annuncerà la fine miserevole di Israele, sotto i colpi dell'Impero Romano. La conversione deve partire dall'atteggiamento religioso, con le sue pratiche securizzanti del tutto inutili, perché non hanno la forza di incidere sulla vita reale. E poi arriva Gesù, confuso tra la folla... A sconcertare il Battista, il fatto che il Messia non prenda le distanze dai peccatori, volgo disperso che nome non ha, connotato unicamente dal fatto che ha la coscienza sporca e ne è consapevole. Allora, il Messia non è un giudice per conto di Dio, ma un servo del Signore: servo mansueto, servo obbediente, servo solidale con i peccatori. A questo punto, Giovanni si arrende a Colui che ha appena mandato in crisi le sue convinzioni più profonde, e battezza Gesù. Non così avverrà da parte dei Farisei e dei Sadducei, i quali resteranno ostinatamente sulle proprie idee, sui propri schemi, nei quali Gesù non c'entra, né potrebbe entrarci. "Compiere ogni giustizia" significa pertanto sottomettersi al piano di Dio. Nel comportamento di Gesù che si mette dalla parte dei peccatori e, insieme con loro, si fa battezzare, si manifesta la logica del servo sofferente annunciato da Isaia, che porterà il Figlio di Dio a salire sul patibolo e a morire per i peccati del suo popolo. Nella passione di Cristo si realizza la vera solidarietà con i peccatori, del tutto diversa da una qualsivoglia complicità. È ormai chiaro che il modello di Messia incarnato da Gesù è in controtendenza rispetto alle attese di Israele, non però nei confronti dell'AT: rottura dunque con il Giudaismo, ma perfetta conformità con ciò che le Antiche Scritture rivelano. La conversione alla quale Dio chiama il Precursore e i Giudei è in verità un ritorno alle origini. Vero Giudeo è colui che si fa cristiano. Una parola è doverosa sull'epifania presentata da Matteo: il cielo aperto e la voce di Dio: "Questi è il figlio mio, l'amato: in lui mi sono compiaciuto.". È ancora Isaia a scrivere: "O, se tu squarciassi i cieli e scendessi! Davanti a te i monti tremerebbero." (63,19); a sua volta Isaia cita i salmi 63 e 64, nei quali l'orante implora Dio di aprire il cielo, per scendere in mezzo al suo popolo e guidarlo in un nuovo esodo, verso la libertà. Ecco il significato della scena che abbiamo appena contemplato: il silenzio di Dio, durato fin troppo a lungo, è terminato; finalmente parla! Ora inizia un tempo nuovo, il tempo della salvezza. Le parole dell'Altissimo non sono rivolte al Figlio, come nei Vangeli di Marco e Luca, ma a tutto il popolo, a noi. Ecco che nuovamente ritorna il richiamo alla Chiesa, quella di ieri, quella di oggi, quella di sempre. Riconosciamo nel Cristo, umiliato e crocifisso, il Figlio di Dio, per essere salvati! Il quarto Evangelista si esprime in termini diversi, ma con lo stesso intendimento: alla domanda dei Farisei "Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?", Gesù risponde: "Questa è l'opera di Dio: credere in Colui che Dio ha mandato." (6,28-29). |