Omelia (03-07-2022) |
don Alberto Brignoli |
Essenzialità e sobrietà È bello sentirsi gratificati in quello che si fa, soprattutto quando si è investito molto in energie, tempo e risorse. Questo vale per il lavoro, lo studio, la famiglia, gli hobby personali, un progetto di solidarietà... Vale anche per la vita di fede, in particolare per le attività pastorali. È bello quando, in una comunità parrocchiale o in un gruppo di credenti, si investono energie, tempo e risorse per qualcosa di importante, di significativo per la crescita umana e spirituale della comunità stessa, e questi sforzi si rivelano un successo. Insomma, non ci sono solamente le delusioni: ci sono anche le soddisfazioni! Non ci sono solo le chiese che si svuotano, i giovani che non vanno più all'oratorio, i bambini che non sanno fare neppure il segno di croce e i genitori che non educano più cristianamente i bambini; ci sono anche momenti della vita di fede a cui la gente risponde volentieri, ci sono giovani che sanno vivere momenti di fede magari fuori dagli ambienti e dai contesti "classici" come la messa o la catechesi; ci sono bambini che manifestano la gioia di avere Gesù nel cuore stando insieme a giocare per un mese in oratorio; ci sono genitori che invece di godersi tranquillamente le vacanze o di dedicarsi solamente al lavoro e alle loro occupazioni quotidiane, sanno dare del tempo agli altri, magari proprio ai ragazzi, rimettendosi in gioco anche quando giocare diviene una fatica perché non si è più allenati. E magari, è tempo speso meglio rispetto al tempo che si dedica a "postare" la propria vita e le proprie idee sui social come se fossero altari o pulpiti da cui predicare. I successi ci sono, occorre saperli vedere soprattutto quando non è facile; e occorre anche avere un po' di onestà nei confronti del Signore. Eh, sì: perché quando nella vita di fede le cose non vanno bene, piuttosto che farci un esame di coscienza e analizzare dov'è che avremmo potuto fare meglio, ci viene spontaneo sfogarci e a volte addirittura prendercela con il Signore perché "non ci da una mano", perché "sta lontano da noi", perché "non ci ascolta". E ci sta: il Signore ha le spalle larghe! Poi, però, dovremmo anche avere - come dicevo - un po' di onestà intellettuale e morale nei suoi confronti riconoscendogli il merito dei nostri successi pastorali ed ecclesiali. Perché spesso l'entusiasmo che proviamo quando qualcosa ci risulta bene, ci fa dimenticare che dietro tutto questo c'è lo zampino di Dio: del Padre che ci ama e ci fa sentire amati, del Figlio che ci accompagna nel nostro cammino, dello Spirito che ci ispira idee, sentimenti e azioni. Siamo, spesso, come i settantadue discepoli che, nel brano di Vangelo che Luca oggi ci offre, tornano dalla missione (una missione senza esclusioni, perché settantadue erano le nazioni pagane, secondo il libro della Genesi) pieni di gioia ed entusiasmo perché - riferiscono a Gesù - "anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome". E la risposta di Gesù è molto bella, perché non smorza affatto il loro entusiasmo, anzi: conferma loro di aver visto "Satana cadere dal cielo". E spiega loro che tutto questo non è frutto delle loro grandi capacità, ma dei doni che egli ha fatto loro, del potere che ha loro dato "di camminare sopra serpenti e scorpioni" senza subire danni. E poi, la frase più bella e più consolante: "Non rallegratevi però perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli". La gioia che deriva giustamente dai nostri successi pastorali ed ecclesiali non deve avere, come motivo, quello di aver fatto cose straordinarie, bensì di sapere che abbiamo un posto nel cuore di Dio, e di questo dobbiamo esserne certi anche nei momenti di insuccesso e di sconforto; e soprattutto, questo deve poterci donare una grande pace e una grande serenità interiore. Come si arriva a tutto questo? Come possiamo prendere coscienza e consapevolezza che tutto ciò che facciamo è dono della grazia di Dio che opera in noi, e non dei nostri mezzi? Possiamo farlo leggendo attentamente il brano di Vangelo di oggi, che ci regala un elenco di condizioni e di atteggiamenti attraverso i quali il Regno di Dio giunge a compimento con il nostro contributo, certo, ma soprattutto "nonostante" noi e i nostri mezzi. E allora, cosa fare per "sopravvivere" quando si viene gettati come un branco di agnelli in mezzo ai lupi, i quali sbranano più con la parola che con i denti? Bastano due parole per lasciare che la Parola agisca anche attraverso gli operai della messe: essenzialità e sobrietà. Il Regno di Dio non ha bisogno di borsa, sacca o sandali, perché non sono le sicurezze economiche né i migliori mezzi a nostra disposizione a fare in modo che la messe porti frutto; il Regno di Dio non ha bisogno di molte parole e di molti convenevoli, tipici dei saluti di stile orientale a cui si riferisce Gesù, perché l'urgenza del Regno non perde tempo in discorsi inutili e spesso dannosi; il Regno di Dio non ha doppi fini, ha solo voglia di portare pace, in qualunque casa e a qualunque persona si rivolga; il Regno di Dio accetta di condividere la quotidianità della vita con chiunque, senza la necessità di "passare da una casa all'altra", ovvero di scegliere dove gli conviene stare; e soprattutto accetta di "mangiare ciò che vien posto innanzi", cosa che ai tempi di Gesù era impensabile, con tutte le leggi che dichiaravano impuri molti alimenti e che portavano "i puri d'Israele" come i farisei a non condividere la mensa con i peccatori; il Regno di Dio non basa la propria missione e la propria efficacia su ciò che è ricco, puro, onesto, buono e santo, magari facendo selezione e scartando tutto ciò che è "diverso", perché laddove viene accolto con semplicità, accoglie con altrettanta semplicità, non si complica la vita con elucubrazioni mentali sulle vicende di chi ha di fronte, e soprattutto non se la prende con chi, pensandola diversamente, si rifiuta di accoglierlo, anzi, per evitare ogni problema restituisce a ognuno tutto ciò che è suo, addirittura la polvere che si è attaccata sotto le scarpe, perché nessuno possa avanzare pretese nei confronti di Dio dicendogli "Con tutto quello che io ha fatto per te!". Avanzare pretese nei confronti di Dio serve veramente a poco; anche perché se lui avanzasse pretese verso di noi, ci sarebbe da stare poco allegri: invece, la conclusione di oggi è proprio un invito a rallegrarci, perché se accettiamo la logica del Regno di Dio, semplice, sobria, essenziale, povera e accogliente verso tutti, possiamo stare certi che i nostri nomi sono scritti nei cieli. |