Commento su Pr 31,10-13.19-20.30-31; Sal 127; 1Ts 5,1-6; Mt 25,14-30
Le letture, che costituiscono la liturgia della parola di questa penultima domenica dell'anno liturgico, insistono, come quelle della domenica precedente, sulla vigilanza attiva di questi accolgono il messaggio della salvezza. Questo messaggio ha in s? un rischio. Il rischio, che questa vigilanza venga meno, ? condiviso: da Dio, che mettendo, nelle mani dell'uomo, sua creature, quanto ha creato questi non si comporti in maniera soddisfacente; dall'uomo, allorch? dovr? rendere conto a Dio di quanto ha avuto in custodia. La liturgia odierna ci porta a riflettere sulle responsabilit? dell'uomo da Dio creato "eppure lo hai fatto poco meno degli angeli (Sal 8,6a)".
La nostra vita e il nostro operare sono, per carattere, " escatologiche: " i talenti" che, nascendo abbiamo ricevuto da Dio, li dobbiamo far fruttificare. L'attesa della sua venuta deve essere il trampolino di lancio del nostro agire quotidiano verso di Lui.
La fine del mondo con la parusia e il giudizio universale porta, in quanto a risultati, a un'unica considerazione: sapremo riconoscerlo? Si tratta della relazione eterna fra il l'Unto del Signore e noi, i battezzati, che ci gloriamo del nome di cristiani, i chiamati "alla gioia del padrone".
Alla luce di quanto sopra detto dobbiamo porci la domanda: " siamo diventati conservatorii della parola" che per eccesso di prudenza ci siamo rinchiusi in un eterno " lockdown". Se consideriamo il numero delle volte che compare il termine vigilare possiamo senz'altro dire che questa ? la domenica della vigilanza.
La prima lettura ? un brano tratto dalla settima collezione di di Lemuel re di Massa, che pone fine al libro dei proverbi. In esso si loda una padrona di casa dedita esclusivamente agli affari della sua famiglia e, cos? facendo, riempie di gioia il cuore del marito.
L'autore, mettendo in mostra le tre caratteristiche, che contraddistinguono questa donna, ci dice che essa ?: una lavoratrice sollecita e risoluta; premurosa con i poveri, verso i quali "apre le sue mani"; ? saggia nel parlare ed ? timorosa di Dio. Una donna che ha queste caratteristiche ? un vanto per il marito, allorch? " siede alle porte della citt? dove siede con gli anziani".
Ma chi ? la donna forte lodata in questa lettura? Forse la donna fedele e unica? forse Israele ( nel Vecchio Testamento) o la Chiesa ( nel Nuovo Testamento )? l'unica cosa che si pu? dedurre ? che: la parola di Dio ? la sua patria.
Il Salmista ci dice, in questo 127? Salmo che, chi teme e cantina nelle vie del Signore ? da considerarsi beato. Oggi si pensa a Dio solo quando le cose non vanno per il verso giusto, affinch? faccia lui il "tappabuchi" dei mostri fallimenti, dandogli il compito di essere il motore ausiliario delle nostre incapacit?.
La formula finale di questo Salmo "graduale" ? una benedizione che i sacerdoti pronunziavano ai pellegrini al loro arrivo alle porte del tempio " Da Sion ti benedica il Signore... tutti i giorni della tua vita".
Noi possiamo chiedere a Dio il dono di camminare con gioia nelle sue vie e cos? avremo tutto il necessario per arrivare alla vita eterna.
Con la seconda lettura della liturgia della parola, l'apostolo delle genti, dice alla comunit? dei Tessalonica, che insistentemente domandava in che data sarebbe avvenuta la fine del mondo, dice, non fissando loro una data precisa. Ma raccomanda loro che quando questo avverr? ? importante, invece, che essi siano vigilanti affinch? non vengano colti come coloro che sono ancora nelle tenebre. Anche il canto al Vangelo invita a vigilare con gioia: "vigilate e state pronti, perch? non sapete in quale giorno il Signore verr?".
Il Vangelo che ? stato proclamato, or ora, afferma che Dio non teme di riporre in noi grandi speranze a condizione che in noi ci sia una vigilanza tale che non indietreggi di fronte agli ostacoli mondani.
Ges?, con questa parabola ci dice che Dio ci vuole liberi e responsabili delle nostre azioni dei nostri pensieri come fa il padrone, in questo brano del Vangelo di Matteo, che partendo per un lungo viaggio consegna ai suoi tre servitori tutto quello che ? di sua propriet?. Propriet? che ? di 8 talenti ( 1 talento era pari a circa 50Kg d'oro, quindi un totale vicino a 400 Kg d'oro ). Questa viene data in gestione ai tre suoi servi in base alle loro attitudini e capacit?. Vengono affidati ad uno 5 talenti, 2 ad un secondo, 1 solo al terzo con l'obbligo di farli fruttare. Partito il padrone, il primo e il secondo dei servi, vanno ad investirli, il terzo invece scava una buca nel terreno e ivi nasconde il talento avuto in gestione. "Dopo molto tempo il padrone di quei servi torn?, e volle regolare i conti con loro". Il primo e il secondo dei dipendenti consegnano il doppio di quanto hanno ricevuto e in cambio del loro impegno il padrone, ad entrambi li fa partecipi della sua gioia. Il terzo, allorch? si present? al padrone gli riconsegna quell'unico talento ricevuto e gli dice di aver avuto paura di lui perch? cattivo, per tanto ha osservato l'halakhah ( la legge ), come prescritto dai rabbini, e come compenso per la sua opera viene gettato fuori dalla casa, nelle tenebre.
Questa parabola ci dice che non c'? niente di peggio, agli occhi di Dio, della mancanza di fiducia e di amore. Non c'? valore nel professarsi cristiano se senza sentirsi in obbligo di comunicare il vangelo altrimenti ci verr? detto "Che avete fatto della mia parola?".
Revisione di vita
- Siamo certi di essere chiamati a vivere in una vigilanza operosa senza pigrizia e disimpegno?
- Viviamo come se le doti e le qualit? dataci da Dio sono semi da far fruttificare?
- Pensiamo che degno discepolo di Ges? condivide la responsabilit? di far crescere il Regno?
Marinella ed Efisio Murgia di Cagliari.
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