Omelia (01-10-2003)
Paolo Curtaz


Una pagina dura, inquietante; per troppo tempo il cristianesimo è stato proposto (e vissuto?) come una specie di panacea ai mali della terra, come una fuga verso un "altrove" che permettesse di affrontare le fatiche della vita e non di rado, ancora oggi, incontro dei discepoli del Signore che pensano alla fede come ad una specie di consolazione, di nido in cui rifugiarsi. Non la pensa così Gesù e oggi, in maniera che ci lascia perplessi, afferma con forza le esigenze per essere discepoli. No, la fede non è un comodo rifugio, un nido sicuro in cui stare perché il figlio dell'uomo non ha dove posare il capo. No, la fede non può anestetizzare la vita, non è uno stato comatoso, né un funerale ma qualcosa di dinamico, di vivo, di immenso. No, la fede non è valore penultimo: Gesù qui e altrove pretende di poter essere tutto, più degli affetti e degli amori che sono la cosa più preziosa che abbiamo... Non vogliamoci indietro, basta con questi atteggiamenti di rimpianto di un ipotetico passato (ma è davvero esistito?) in cui la fede e la chiesa e i cristiani erano al centro dell'attenzione. Piccolo gregge siamo divenuti e questa è la volontà del Signore perché con libertà, senza altra sicurezza a parte il vangelo, con creatività e dinamismo guardiamo avanti: a noi di far passare l'aratro, sarà Dio a far germogliare il seme!

Sì, Signore, noi desideriamo prepararti la strada con cuore libero, senza fare della fede un nido, con un atteggiamento vivificante, senza rimpiangere il passato, affinché ogni uomo veda in noi, nella trasparenza dei nostri gesti, il tuo volto amorevole nei secoli dei secoli.