Omelia (05-04-2020)
padre Gian Franco Scarpitta
Seguire il re che ama

Dicono i biblisti che nella Sacra Scrittura l'asino, animale da soma indicato per i lavori servili e frustranti, ? il simbolo della pazienza, della mansuetudine e della sottomissione. Secondo altri (Ravasi) era la cavalcatura scelta dai re e dai principi in tempo di pace, in ogni caso era ben differente dal cavallo, simbolo dell'animale adottato da generali e militari che si prodigavano in guerra e nelle battaglie. Preannunciato cos? da Zaccaria 9, 9, Ges? fa ingresso montando questa umile cavalcatura e affermando cos? di essere il Re dei Giudei, che tuttavia non si impone con il dominio e con la preponderanza, ma con umilt? e come "principe di pace"(Is 9,6). La sua regalit? ? stata gi? spesa a lungo nelle opere di misericordia e nelle concreta attestazione dell'amore del Padre per mezzo di segni e di miracoli i cui beneficiari erano principalmente i poveri e i sofferenti. Il suo Regno si qualifica come dimensione di giustizia e di pace e il suo contrassegno e l'amore e la concordia fra gli uomini. Questo si realizza nelle sue parole e soprattutto nelle sue opere di bont? e di misericordia verso tutti, ma principalmente verso gli esclusi e i bisognosi e di questo lui stesso ? testimone e concreto apportatore. Non che si smentisca il fatto che Ges? ? il Re dell'Universo come dominatore e imperatore assoluto di tutte le cose: a lui appartengono sempre la gloria, i secoli e il tempo, tuttavia l'esercizio della sua regalit? universale ? lontano dalle nostre abitudinarie impostazioni di spadroneggiamento e di affermazione, ma ? piuttosto oblazione umile e disinteressata, concreto servizio e apertura, amore e spasimo soprattutto verso chi soffre.
Ma il culmine dell'amore e dell'umilt? che caratterizzano il regno di Cristo ? dato dall'accettazione del dolore e della morte atrocissima per la nostra salvezza, alla quale lui non si sottrarr? ed ? per questo che, dopo una eloquente esaltazione a furor di popolo, Ges? si avvia con coraggio all'appuntamento con l'"impero delle tenebre" che favoriranno la sua cattura e la sua crocifissione. Sa benissimo che si tratta di un incontro doloroso che comporter? il massimo del deprezzamento e dell'umiliazione, che sar? accompagnato anche dalla vilt? dei suoi che lo lasceranno solo e non saranno neppure in grado di vegliare un'ora con lui e che lo metter?, ancor prima che di fronte al supplizio stesso, davanti all'angoscia e alla trepidazione che sono gi? l'anticamera del dolore fisico, ciononostante si avvia verso quell'amarissima tappa volentieri e senza esitazione. Se infatti non pagasse egli stesso, con il proprio sangue, il prezzo dei nostri peccato e se non espiasse egli stesso tutte le pene che meriteremmo per le nostre colpe, noi non potremmo essere salvi. I nostri meriti sono insufficienti perch? possiamo essere "giusti" davanti a Dio e con i nostri soli mezzi non potremmo essere salvi. Occorre a tutti i costi che lui paghi per tutti noi con il suo sangue, come nell'Antico Testamento pagavano le vittime animali e allora non esita a fronteggiare questo percorso atroce verso il luogo della sua condanna. Ecco il nostro re: il Signore della gloria padrone di tutto il creato che per dona se stesso per la vita dei suoi sudditi. Semplicemente perch? ? Amore e non pu? smentire se stesso.
Le palme intrecciate e colorate che noi ostentiamo in alto e che solitamente porgiamo all'effusione dell'acqua benedetta (eccetto in questi giorni tremendi di coronavirus) marcano il segno della gioia e della festa per il tripudio che viene giustamente tributato a Ges? come vero re effettivo e padrone del cosmo e della storia, e di fatto l'atmosfera di questa Domenica ? sempre quella della serenit? e della gioia; i ramoscelli d'ulivo sono invece emblema dell'agonia di Ges? nel Getszemani e non possono che essere segno della sofferenza e del dolore e anche in questo noi ci configuriamo: accompagniamo Ges? anche nell'umiliazione estrema e nella struggente prospettiva della sofferenza e della morte.
Gi? l'istituzione dell'Eucarestia, preceduta dall'atto servizievole della lavanda dei piedi ai suoi discepoli, ? da parte di Ges? un modo di "spezzarsi" e di "distribuirsi" ai suoi con amore umile e disinteressato (Ratzinger) con l'intenzione di anticipare nei segni del pane e del vino il sacrificio che lo interesser? di li a poco sul luogo detto Cranio. In pi? le parole "Questo ? il mio Corpo, questo ? il mio Sangue; fate questo in memoria di me" che dicono del pane "Questo sono Io" affermano un'intenzione di essere presente perennemente nella nostra vita come il Risorto della cui passione si fa memoria. Nell'Eucarestia sar? Ges? stesso a presenziare per sempre in mezzo a noi diventando peraltro anche nostro alimento costante di vita e ancora una volta spendendo cos? se stesso per noi. Nell'affrontare il buio del sepolcro dopo la morte truculenta di croce Ges? ci addentra anche nel mistero stesso del trapasso, dandocene un significato nuovo e per certi versi rivoluzionario, perch? come avremo modo di vedere nei prossimi giorni in Ges? la morte ? anch'essa sinonimo di vita.
Dire che immedesimarci nella Settimana Santa comporta fare nostre le sofferenze di Cristo ? abbastanza riduttivo. In questo periodo, definito "tempo di passione", occorre piuttosto seguire l'orientamento di Paolo che ci invita assumere tutti i sentimenti di Cristo "che non consider? un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogli? se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini. Apparso in forma umana umili? se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce"(Fil 2, 5 - 8); parole che fanno seguito all'invito categorico a non cercare ciascuno i propri interessi a discapito degli altri, a fuggire la vanagloria e il falso orgoglio, a non lasciarci attrarre oltremisura dal potere e dal successo fugace e passeggero, ma ad aspirare alla carit? che si consegue non senza l'umilt? (vv 1 - 4). Questo atteggiamento di configurazione totalizzante con il Crocifisso sar? la garanzia di avere forza nella sofferenza e nella prova, e ci render? tenaci e perseveranti nei sacrifici e nelle sofferenze. L'umilt? di cui Cristo stesso ci ha dato l'esempio dev'essere la nostra forza per la costruzione dell'intero edificio di noi stessi perch? le sue fondamenta restino solide. L'umilt? che diventa carit? e in questo binomio si trasforma in gloria.