Omelia (22-12-2019)
don Luciano Cantini
Uomo giusto

Così fu generato

Nella Scrittura si racconta come Dio opera per gli uomini e con gli uomini; oltre a essere oggetto dell'azione di Dio, gli uomini ne sono strumento più o meno docile, più o meno consapevole. Molti sono chiamati da Dio all'improvviso nel mezzo della loro vita, altri lo sono fin dalla nascita. C'è un «genere letterario» particolare, un modo di narrare, un canovaccio narrativo che è comune a tutte queste nascite che in genere prevede l'apparizione di un angelo (o l'intervento di un profeta), un nome imposto dall'alto, la missione di chi è interpellato, una difficoltà o una controversia da superare, un segno come garanzia e la spiegazione del nome del nascituro. L'annuncio della nascita di Gesù che leggiamo in Luca e quella in Matteo, pur nella loro totale diversità, hanno in comune gli stessi elementi e appartengono al medesimo genere letterario.


Si trovò

Di Maria si dice si trovò incinta per opera dello Spirito Santo: è una espressione che nella sua stringatezza non racconta ma lascia intuire - l'azione di Dio precede la comprensione da parte dell'uomo e la sua accettazione - non appaga la curiosità e lascia il fatto sullo sfondo del racconto successivo. In Matteo la gravidanza di Maria è un dato di fatto consegnato così come è a Giuseppe, a lui è affidato il compito di accogliere quel bambino, di riconoscere l'azione di Dio e di dargli il nome; dunque di riconoscere l'opera dello Spirito in Maria. Dio provoca la Fede di Giuseppe, scava nel profondo del suo cuore per depositarne il suo seme d'amore perché sia riconosciuto, accolto e generato, così diventa padre, come Maria è divenuta la madre.

La paternità e la maternità non nascono da un evento naturale come la generazione ma dal dono della propria vita, del proprio tempo, della propria esperienza, del proprio amore a colui che diventa figlio. Maria e Giuseppe raccontati da Matteo sono due ragazzi tra i sedici e diciotto anni che si lasciano condurre dagli avvenimenti, senza comprenderli fino in fondo, ma fidandosi di Dio. I fatti della vita ci interpellano, ci pongono domande, chiedono risposte e coinvolgimento.


Era uomo giusto

Matteo, nel suo vangelo, dice che Giuseppe "era uomo giusto". Eppure, sarebbe stato giusto se avesse preso alla lettera la Legge e ciò che la tradizione mosaica ha insegnato; avrebbe dovuto essere osservante della religione, delle regole che la organizzano, applicare la legge, anche se è dura; invece Giuseppe è detto giusto perché libero, libero di guardare al di là delle leggi, al di là delle tradizioni, al di là degli ostacoli della vita per scoprire la dimensione più vasta di Dio. Egli decide secondo la sua coscienza e arriva a prendere in considerazione anche l'imponderabile, quello che la sua educazione e gli insegnamenti ricevuti gli impediscono di cogliere, quello che in quel momento gli sfugge, decidendo di fare una scelta controcorrente, al di fuori dei parametri religiosi, affidandosi solo al suo discernimento e alla sua libertà, immergendosi nel Dio che si fa misericordia, nel Dio che si fa amore, infinito, prospettiva, progetto; Dio che si fa incontro all'uomo perché vuole la sua salvezza.

Giuseppe è cosciente che il bambino che Maria ha in grembo non è suo e decide di farsi da parte; non si sente tradito, ma intuisce che deve guardare oltre le apparenze; c'è «qualcosa» che intuisce e non capisce (lo capirà nel sogno) che è più grande di lui e lui non vuole essere di ostacolo. Giuseppe si mette da parte per non intralciare il piano di Dio di cui è all'oscuro; proprio perché è così fortemente orientato che l'evangelista lo definisce «giusto», non per la «giustizia» in senso umano, ma per la «verità» della sua vita che è tutta messa a disposizione di Dio. Gli basta il torpore del sonno per mettersi totalmente a servizio di quel progetto inconoscibile e fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore.

Essere giusti significa superare la legge e valutare le cose dal punto di vista della verità. Non si è giusti quando siamo coerenti con la legge, né quando abbiamo ragione, ma quando abitiamo la verità della nostra vita, per noi stessi e nella relazione con gli altri. Quando ci mettiamo nella prospettiva di Dio che guarda gli eventi e le persone nella profondità del loro intimo, non nell'apparire, ma nella solidità interiore; non per quello che sono nell'«adesso» di oggi, ma per quello che saranno per il dono che Dio fa loro.