Omelia (17-11-2019)
don Alberto Brignoli
Semplicemente vita

Ci avviciniamo in maniera decisa alla conclusione dell'Anno Liturgico, e già da alcuni giorni la Liturgia della Parola ci presenta testi di particolare durezza e asperità, ostici da leggere e da ascoltare, ancor più da comprendere: figuriamoci cosa possa comportare il doverli "vivere", ossia renderli parte della nostra esistenza e della nostra esperienza di fede. Che cosa voglia dire concretamente attendere il giorno del Signore che arriverà "rovente come un forno", o che sentiremo parlare di "guerre e rivoluzioni", "nazioni sollevate contro altre nazioni", che ci saranno "terremoti, carestie e pestilenze in vari luoghi", nonché "fatti terrificanti e segni grandiosi nel cielo", e che nonostante tutto questo "non ci dovremo terrorizzare, perché non è subito la fine", francamente io faccio fatica a comprenderlo: meno ancora a farne tesoro per la mia esperienza di vita e di fede. Che cataclismi a livello naturale possano avvenire in varie parti del mondo, non è una cosa poi così rara: le notizie e le immagini provenienti in questi giorni da varie regioni del nostro Bel Paese, ne sono la prova evidente. Che ci siano guerre e rivoluzioni, o nazioni in conflitto tra di loro, penso sia pane quotidiano per l'umanità, se è vero che attualmente nel mondo ci sono in corso (di quelli che si conoscono) 29 conflitti armati che coinvolgono 70 stati sovrani, ovvero un terzo degli stati del mondo. Che oggi le pestilenze dell'antichità siano sostituite dalle epidemie o dalle pandemie che periodicamente si manifestano con nuove e sconosciute malattie, non è certo una cosa strana, se addirittura una malattia che noi ritenevamo ormai sconfitta, come la tubercolosi, porta alla morte ogni anno ancora 10 milioni di persone al mondo, anche in Italia. Per accennare anche solo brevemente alla povertà, in questa Giornata Mondiale dei Poveri fortemente voluta da Papa Francesco tre anni fa, i dati dell'Onu parlano di circa 780 milioni di persone (l'11% della popolazione mondiale) che vivono sotto la soglia di povertà, stimata in 1,50 € al giorno a testa. Solo in Italia, parliamo di 1.800.000 persone che vivono in povertà assoluta. E con tutto ciò, il Signore, nel vangelo di oggi ci invita a "non terrorizzarci, perché non è ancora arrivata la fine". Cioè, non siamo ancora al colmo della misura.
Finirà tutto questo? Finirà presto il mondo? Siamo vicini alle realtà finali della storia e del pianeta? Quante volte l'umanità si è posta, si pone, e continuerà ancora a porsi queste domande, e nessuno di noi sa fino a quando... Perché sono le domande di sempre, soprattutto quando davanti agli occhi delle persone scorrono immagini che parlano di distruzione e di morte. È stato così anche per la comunità dell'evangelista Luca, che aveva assistito alla seconda e definitiva distruzione del Tempio di Gerusalemme, da parte dei Romani nel 70 d.C., a cui Gesù accenna, profeticamente, all'inizio di questo brano di Vangelo. Il crollo del simbolo per eccellenza della fede degli ebrei aveva indotto i cristiani di origine ebraica a pensare che la fine del mondo fosse ormai imminente, e di conseguenza a vivere nella totale accidia, nell'inezia, nella voglia di non fare più nulla, perché ormai era inutile, tant'è, sarebbe tornato presto il Signore a porre fine alla storia dell'umanità. Già Paolo, qualche decennio prima, si era trovato a dover fronteggiare questa situazione, come accenna scrivendo ai cristiani di Tessalonica, tra i quali si trovavano alcuni che vivevano "una vita disordinata, senza fare nulla e sempre in agitazione". E la prospettiva di soluzione che Paolo offre a queste persone è molto concreta, immediata, schietta, quasi brutale: "Vi ordiniamo di guadagnarvi il pane lavorando con tranquillità". Della serie: pochi fronzoli per la testa, rimboccatevi le maniche e andate a lavorare, invece di perdere tempo in questioni inutili!
Forse, senza la necessità di essere brutali e immediati come Paolo, dal momento che gli interrogativi e le questioni che ci poniamo al riguardo non sono poi così inutili, la soluzione è davvero questa: continua a fare il tuo dovere, sempre, senza smettere mai, perché quello che ti salva non è altro che la perseveranza, come dice anche il Maestro al termine del Vangelo di oggi, "con la vostra perseveranza salverete la vostra vita", dove per "vita" non si intende tanto un fatto fisico (perché alla fine tutti dovremo abbandonare questa vita), quanto una dimensione spirituale, quella dimensione soprannaturale che noi conosciamo bene con il nome di "anima".
E non pensiamo che il discorso riguardi l'aldilà: riguarda l'oggi, la nostra quotidianità. Guadagnarci il pane quotidiano con tranquillità e perseveranza, senza agitazione, significa entrare in una logica che mi piace chiamare la logica del "ma": "ma", non è solo una congiunzione avversativa (dal punto di vista grammaticale), è qualcosa "di più", come dice la sua etimologia (dal latino "magis"). E, infatti, il discorso escatologico di Gesù che oggi abbiamo ascoltato nella versione di Luca è costruito proprio su tre "ma": "Ma non è subito la fine"; "Ma prima di tutto questo, metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno"; "Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto".
Aldilà di quello che il Vangelo di oggi vuole raccontare dal punto di vista storico; aldilà di quello che potrà succedere o meno nella storia dell'umanità; aldilà di quelli che sono i pensieri che possono frullarci nella mente riguardo a tutto ciò che vediamo o sentiamo accadere, il Signore ci invita a usare la logica del "ma", la logica dell'andare controcorrente, la logica del non lasciarci trascinare dagli eventi, la logica, soprattutto, del "di più". Fare di più, dare di più, pensare di più, osare di più... mettiamoci tutti i "di più" che vogliamo. Ma non fermiamoci mai, lasciandoci prendere dall'angoscia delle cose e dei pensieri: perché ci potranno perseguitare, schiacciare, annientare, ma nessuno ci toglierà mai quel "di più" che chiamiamo anima, o - se preferiamo - semplicemente vita.