Omelia (23-10-2016)
don Simone Salvadore
Lasciati amare e vivi fruttuosamente in pace. "La corona di giustizia" ti sarà consegnata.

Penso a San Paolo, a tutti quelli che sono partiti agli albori del cristianesimo, quando la nostra fede non era socialmente accettata e non era garanzia di tranquillità, di sicurezza o di privilegi.
Penso a tutte quelle persone che hanno affrontato fatiche e pericoli inimmaginabili, per annunciare l'esperienza potente e disarmante di essere stati amati da un uomo davvero speciale: il Signore della Vita, il Figlio di Dio e Figlio dell'uomo, che ha vinto la morte ed è ancora con noi, vivente della Vita Nuova senza fine.
Penso a tutte quelle persone che si sono spogliate, messe a nudo davanti a Lui, nelle loro miserie, nelle loro nefandezze, smettendo di scappare da sé stessi.
Di fronte a Gesù non si sono sentiti giudicati; sono stati sedotti, hanno conosciuto l'Amore che non avevano mai compreso prima d'allora. Sono stati aiutati a vivere insieme, così diversi e variegati, a rappresentare un campione dell'universale umanità riconciliata.
Con la loro testimonianza, con il loro sacrificio e molte volte con il loro martirio, hanno toccato il cuore degli uomini del loro tempo, sgretolando con l'Amore, l'alterigia di quel potere malato della storia di sempre, che non è mai stato, che non è e non sarà mai a servizio dell'uomo.

Quando un uomo vive in maniera arrogante, la manìa di protagonismo, la voglia di successo a tutti i costi, animato sempre e solamente da una smodata ansia di affermazione, significa solamente una cosa: non ha fatto mai l'esperienza di sentirsi amato gratuitamente da nessuno e la sua piccolezza non è stata mai riempita da questa splendida certezza, da questa splendida grazia come dolcemente armonizza "Amazing Grace" di John Newton. L'amore dà valore, fiducia in sé stessi e consapevolezza di chi si è veramente.

La megalomania è forse la patologia più comune della storia per aizzare nell'uomo le peggiori contese, litigi e guerre.
Non a caso il peccato preferito dal demonio e che lo ha fatto decadere dal suo stato originale di Grazia è la vanità. Da sempre con la vanità, vuole rovesciare e deformare l'immagine di Dio nell'uomo.
È un continuo combattimento, al quale non si sottrae mai, perché gli piace contrattare, e imbrogliare l'uomo su queste cose procurandogli solo affanno e distogliendolo dai suoi veri bisogni, dalla sua vera identità.

Questo accade anche tra le persone che si reputano "salvate" e che molte volte non si rendono conto che la loro umanità non riesce neanche lontanamente a lasciar trasparire di essere partecipi di una vita da "risorti".
Sono come tutti gli altri: talvolta anche peggio, perché il rischio di diventare o forse di essere sempre state persone anaffettive, è grande.
La vanità nel sacro poi, assume la portata dell'ennesima potenza, incoscientemente e irresponsabilmente nel nome di Dio. Il fariseo infatti, pio ebreo osservante, diceva: "O Dio ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri e neppure come questo pubblicano".

Non dobbiamo mai dimenticarci da dove veniamo, da cosa siamo stati salvati, ognuno nella sua storia personale, nella propria storia comunitaria, se c'è mai stata.
È solo l'Amore di Cristo in noi, che risuonerà efficacemente.
Solo questo rimarrà, perché "Il Signore è giudice e per lui non c'è preferenza di persone"(Sir 35,15).
Solo chi è povero in spirito si lascia amare veramente e trova sicurezza nell'Amore di Cristo.
Solo chi è povero e contento di esserlo, perché amato, è in grado di chiedere perdono sincero, di amare e servire gli uomini, senza disprezzarli, "soccorrendoli e accogliendoli con benevolenza"(Sir 35,20).
Diversamente dal fariseo, la preghiera del pubblicano è qualificata da Gesù come la preghiera che giustifica, perché "La preghiera del povero attraversa le nubi, né si quieta finché non sia arrivata" (Sir 35,21).