| Omelia (13-11-2016) |
| don Alberto Brignoli |
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Vita. E ha detto tutto. Chi di noi, leggendo le pagine di un giornale, navigando sul web, o ascoltando i notiziari televisivi o radiofonici non rimane sconvolto dalle notizie con cui viene a contatto? Dalle devastanti guerre che affliggono l'umanità (ben 67 stati del mondo sono in situazioni di conflitto), ai fenomeni migratori di cui il Mare Nostrum è tragicamente protagonista (4.000 morti dall'inizio dell'anno, una media di 15 al giorno, e di essi 600 sono bambini); dai morti sulle strade (oltre 3.000 l'anno, in Italia) agli sfollati degli ultimi terremoti nel nostro paese, che hanno ormai raggiunto la quota di 50.000; dai femminicidi (già un centinaio in Italia nel 2016) ai morti sul lavoro (circa 800 dall'inizio dell'anno): uno stillicidio impressionante di numeri a cui, purtroppo, sono associati volti, storie, situazioni che rendono la notizia non più solo un fatto di comunicazione, ma un motivo di sofferenza, di sconforto e, ovviamente, di riflessione. Qual è la riflessione che possiamo fare di fronte a questi fatti? E qual è la riflessione che la storia ha fatto ogni volta che, in epoche diverse, ha dovuto affrontare drammi certamente anche peggiori rispetto a quelli citati? La Parola di Dio che abbiamo ascoltato riporta, come sappiamo, la vicenda storica del popolo d'Israele, che ha vissuto nella duplice distruzione del Tempio di Gerusalemme (una all'epoca dell'esilio in terra babilonese, sette secoli prima di Cristo, l'altra sotto la dominazione romana nel 70 d.C.) una delle pagine più drammatiche della propria esistenza. I profeti nell'Antico Testamento e gli evangelisti nel Nuovo, in forme letterarie distinte hanno espresso lo smarrimento e lo sconforto della popolazione di fronte ai fatti terrificanti della storia. Molte sono le espressioni drammatiche e intrise di sconforto che escono dal cuore, dalla mente e dalla bocca degli autori dei testi sacri, e anche se - come nella Liturgia di oggi - in un'ottica di fede vengono fatte ricondurre all'incomprensibilità di un mistero che si rivelerà solo negli ultimi giorni, tutte esprimono il medesimo concetto di fondo: ma se Dio è buono e ci vuole bene, dov'è, quando accade una tragedia? Dio, tu che ci ami e che fai rifiorire la vita ogni giorno nel grembo di una madre o tra i solchi di un campo di frumento, dove sei, quando una giovane vita viene ingiustamente spezzata da un destino che pare essere più forte anche di te? Dove sei, Dio, quando t'invochiamo? Dove sei, Dio, quando la cattiveria di pochi riesce a prendere il sopravvento sull'innocenza di molti? Dove sei, Dio, mentre l'innocenza è sopraffatta non dalle mani dell'uomo ma da un destino che a volte ci pare abbia il tuo volto e il tuo nome? Dove sei? Perché ti nascondi? Perché non rispondi tu a queste domande di senso, invece di lasciare che sia l'uomo a cercare di capirci dentro qualcosa? Perché non la dai tu, la risposta alle tragedie dell'umanità, invece che lo faccia un fraticello qualsiasi, che brandendo il microfono di una radio - per di più "cattolica" - ha la sfrontatezza di attribuire i drammi di famiglie rimaste prive di tutto al "castigo di Dio per le immoralità degli uomini"? Perché, Dio buono e giusto, non ci tappi la bocca e non apri il nostro cuore per comprendere - come ripetiamo spesso nella Liturgia - le parole del Figlio tuo? E che cosa ci dicono, alla fine, le tue parole, Signore, oggi, di fronte all'umanità desolata, smarrita e incapace a comprendere gli eventi della storia? Che cosa dicono a noi, uomini e donne qualunque, che spesso non pensiamo neppure ai drammi dell'umanità perché troppo presi dalle nostre cose o perché li riteniamo "lontani da noi", almeno finché non ci toccano in prima persona? Oggi, senza volerci dare la ricetta per i problemi dell'umanità, ci dici sostanzialmente tre cose; scontate, forse, per qualcuno; banali, forse, per altri; inutili, forse, per chi crede di avere una scienza infusa maggiore anche della tua. La prima, forse la più scontata, è che quando sentiamo parlare di tragedie o calamità, cerchiamo di non terrorizzarci, perché "devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine": ossia, senza essere fatalisti, fa parte della nostra storicità, della nostra limitatezza, della nostra mancata onnipotenza, della nostra umana mortalità e della nostra proverbiale "cattiveria" che nel mondo avvengano questi fatti, e purtroppo...non è mai finita, o meglio non lo è ancora. Quando lo sarà? Non lo sappiamo, così come non sappiamo dare una vera risposta a tutti i perché dell'esistenza, per cui - ed è il secondo insegnamento di oggi - è inutile che o noi stessi o altri osiamo prendere il posto di Dio (addirittura usurpando il suo nome, "Sono io", il nome del Dio dell'Esodo) dicendo a tutti che "Il tempo è vicino", come se avessimo in mano le chiavi della porta del Regno di Dio, pronti a far entrare coloro che ci dovessero seguire. Nessuno, per santo che sia, ha la password per entrare negli account del Padreterno: per cui, come dice bene Gesù oggi, non andiamo dietro a chi ci propina facili soluzioni ai drammi della storia. E così, nella terza e ultima perla di saggezza di questo difficile ma profondo testo di Luca con cui, di fatto, ci congediamo dalla lettura continuata del suo Vangelo, Gesù ci regala un messaggio di speranza. È capitato di tutto, nella storia dell'umanità, e continuerà a capitare di tutto, ma l'ultima parola - proprio l'ultima - del Vangelo di oggi, dà il senso a ciò che accade. E la lascio commentare a voi, anzi, ve la lascio assaporare e gustare profondamente: "Con la vostra perseveranza, salverete la vostra vita". |