Omelia (10-07-2016) |
Missionari della Via |
Gesù oggi è messo alla prova dall'ipocrisia di un dottore della legge; ma l'infinita pazienza di nostro Signore è grazia per noi, perché le sue risposte illuminano i nostri passi! La prima domanda rivolta a Gesù è: cosa devo fare per ereditare la vita eterna?; chissà, forse una domanda emersa tante volte anche nei nostri cuori. Che devo fare, qual è la giusta via perché possa vivere in pienezza e un giorno essere "in paradiso", cioè unito al Signore per sempre? Gesù risponde con una contro domanda: cosa sta scritto nella legge? Della serie: non devi inventarti nulla. Una "mappa del tesoro" c'è già: la Parola di Dio. E che dice di fare? Di amare con tutto il cuore Dio e gli altri, ossia il nostro prossimo. Fa questo e vivrai, risponde lapidariamente Gesù. Cioè, questa è la via della vita: l'amore. Se ami, sei vivo, ora e per sempre; se non ami, è come se fossi morto, chino su di te, chiuso nel "sepolcro del tuo io", separato dall'amore del Signore e incapace di vedere e dedicarti agli altri. Perché è questo il senso della vita: esistiamo per un atto di amore di Dio, e siamo chiamati e resi capaci di amare; e un giorno, come diceva San Giovanni della Croce: saremo giudicati sull'amore. Un amore di risposta a quell'infinito amore che Gesù ci ha mostrato con tutta la sua vita, che l'ha portato a versare fino all'ultima goccia di sangue per noi; e questo amore, al quale attingiamo special-mente nella preghiera e nei sacramenti, che ci interpella a donarci agli altri, a cominciare da chi ci sta vicino, esercitandolo a partire dai più piccoli gesti: sorridere, coltivare un clima gioioso e sereno, praticare piccoli gesti di premura, sopportare pazientemente senza non lasciarsi andare a parole pungenti, rinunciare a qualcosa di proprio o ai propri "capricci" per il bene degli altri! Allora il dottore della legge, pone un'altra domanda: e chi è il mio prossimo? Per gli ebrei erano i loro connazionali. Dunque, io chi sono chiamato ad aiutare? I miei parenti? I miei amici? I miei parrocchiani? I miei connazionali? Gesù stimola la risposta nel suo interlocutore raccontandogli la famosa parabola del "buon samaritano", cioè di un uomo straniero, che manifesta tanta premura e carità verso quel poveruomo incappato nei briganti, che i passanti precedenti avevano evitato, per motivi "religiosi e civili" (accostarsi a un uomo "impuro" equivaleva a contaminarsi). Alla fine, Gesù chiede: chi tra tutti si è fatto prossimo di quel poveretto? Giustamente quello rispose: chi ha avuto compassione di lui. Ecco il punto: il nostro prossimo non è qualcuno in particolare, qualcuno racchiudibile in qualche categoria: parenti, amici, connazionali, persone "per bene"... no, il nostro prossimo sono tutti, tutti coloro dei quali io mi faccio prossimo! Dunque, la domanda non più: chi è il mio prossimo, ma: tu, di chi ti fai prossimo? Il dottore della legge dice che il prossimo del ferito è stato colui in grado di provare compassione per lui. La compassione: quanto è bella e quanta ce ne serve! Avere viscere di compassione, cioè aver un cuore pieno di tenerezza che ci porta a soffrire con loro, a condividere i loro problemi, proprio come ha fatto e fa il Signore con noi, senza ripiegarci su di noi: che sia il problema a scuola del figlio o della figlia, il problema di salute dell'anziano, la delusione dell'amico, la solitudine del povero, lo sconforto del malato... Che il Signore riempia i nostri cuori di tenera compassione, che ci porti ad amare, per essere persone vive, cristiani veri, testimoni dell'infinita tenerezza di Dio, sapendo che è qui il cuore e il senso di tutta la vita: amare come Lui ha amato noi! |