Omelia (10-07-2016) |
don Giacomo Falco Brini |
Curati di lui, guarda e passagli accanto Il dottore della Legge vuole fare una domanda a Gesù. Ma il Vangelo dice che la fece per metterlo alla prova (Lc 10,25). Anche oggi molti si avvicinano così a Gesù. Non è che se lo dicono (genericamente si tratta di fratelli che non sono molto attenti ad osservare ciò che avviene nel loro cuore, ma piuttosto a quel che fanno gli altri...), anzi, il più delle volte non ne sono consapevoli. Fanno domande, ma da "dottori". Cioè, non si fanno piccoli davanti a Gesù perché in realtà diffidano di Lui come degli altri: la fiducia è il loro problema. E si ritrovano così a mettere alla prova gli altri, mentre sarebbe meglio riservare questo mestiere a Dio. Alla fine del vangelo, dalle parole di Gesù, comprendiamo che il dottore della Legge metteva al centro se stesso. Come facciamo anche noi quando vogliamo giustificarci davanti alle sue parole (Lc 10,29). Il dottore sa bene qual è il comandamento di tutti i comandamenti (Lc 10,27-28), ma chi è il mio prossimo? è domanda che tradisce il suo problema di uomo di legge. Come tutti quelli che fanno delle Legge il loro Dio, si aspetta che dall'esterno arrivi la rassicurante risposta. Per loro voler bene a Dio è osservare scrupolosamente quel che dice la Legge; in questa logica allora si vuol sapere con precisione chi è il prossimo da amare, forse ci sarà anche qualcuno che si potrà non amare! Gesù racconta la celebre parabola di un pagano disprezzato e incapace di conoscere il vero Dio (così erano considerati i samaritani al suo tempo) che si comporta molto diversamente (Lc 10,33-35) da un sacerdote e un levita anch'essi incappati in un uomo mezzo morto (Lc 10,30-32). Il sacerdote e il levita rappresentano la Legge e il culto. C'è già implicito in questo primo quadretto della parabola un sano ammonimento: la Legge e il culto possono essere, nella nostra vita di credenti, un grande inganno. Crediamo di servire e piacere a Dio nell'osservanza dei comandamenti, nelle pignolerie dei decreti e nella cura/frequenza puntualissima delle liturgie, ma esse possono far avanzare impercettibilmente la nostra insensibilità verso i fratelli che soffrono. Chissà cosa fece passare oltre i due religiosi. La paura di sporcarsi le mani? La fretta degli impegni che incombevano? La paura di essere ingannati da quell'uomo steso per terra? La paura dell'impegno che richiede il soccorso a un moribondo? Passare oltre davanti alle sofferenze dell'uomo il più delle volte è segnale di una vita guidata dal peccato, ovvero il nostro egoismo. E se mi permettete, (lo dico prima a me stesso) sono convinto che anche se non sempre siamo chiamati a risolvere i problemi di tutti i fratelli sofferenti, siamo però sempre chiamati a far sentire loro la nostra vicinanza.
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