Omelia (19-06-2016) |
CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie - famiglie) |
Commento su Zc 12,10-11;13,1; Sal 62; Gal 3,26-29; Lc 9,18-24 Le letture di questa domenica ci mettono di fronte alla verifica della nostra fede, cioè ci invitano a passare da una fede consegnata per "tradizione", secondo le scritture, ad una fede personale, frutto di una scelta consapevole dopo l'incontro con quel Gesù in cui diciamo di credere. Nella prima lettura il profeta Zaccaria ci parla di un Dio che vuole arricchirci di grazia e di consolazione attraverso il dono di se stesso, perché proprio "colui che hanno trafitto" sarà sorgente zampillante che laverà il nostro peccato. È l'anticipazione di quel Dio misericordioso che ha dato la sua vita per noi e che quest'anno santo straordinario ci invita a scoprire. Il Salmo ci invita a non fermarsi alla terra arida, senz'acqua, ma a proseguire nella ricerca di Dio, che è"oltre" ed è altro. Nella seconda lettura san Paolo ci ricorda che noi siamo figli di Dio in virtù della fede in Cristo, che abbiamo ricevuto nel battesimo, che ci trasforma in un'unica unità con Lui e che porta ad annullare tutte le differenze di razza e sesso. Parole che oggi trovano uno scarso riscontro nelle nostre società dove le differenze sono sempre più motivo di divisione e di rifiuti ad accogliere il "diverso" o chi non è conforme ai nostri schemi di pensiero. Nel vangelo assistiamo ad un momento decisivo della vita di Gesù e dei suoi discepoli. Dopo un "ritiro di silenzio", che potremmo definire un ritiro spirituale, Gesù invita gli apostoli a riflettere sulla relazione autentica con Lui, a verificare l'intensità della loro fede e, dopo risposte che oggi potremmo definire "catechistiche", a riconoscerlo come Messia, l'inviato da Dio per compiere la sua opera. Ma quale Messia? Gesù cancella tutte le loro illusioni e le attese legate alle aspettative sbagliate sul suo ruolo. Si definisce "figlio dell'uomo" e annuncia per sé il destino del condannato. Rovescia ogni logica di potere e detta i criteri che devono regolare la vita dei discepoli. Egli è colui che mette in crisi le nostre aspettative e le nostre sicurezze, chiamandoci a un severo impegno. La croce rimane il mistero da capire e da accettare. Vivere l'esperienza cristiana vuol dire godere il positivo della nostra vita, non togliendo però la sofferenza, ma dandole un senso. Gesù invita a rinnegare se stessi per seguirlo. Questo non vuol dire rinunciare alla nostra umanità, ma valorizzarla, vincendo la mediocrità morale dell'individualismo per partecipare a un grande progetto di umanità. Prendere la croce significa essere disposti a subire tutte le conseguenze della propria coerenza e delle proprie scelte di verità e giustizia, cioè impegnarsi a sconfiggere il peccato che intralcia il cammino verso Dio e saper accogliere quotidianamente la volontà del Signore. Chi vuol salvare la propria vita, mantenendo inalterati i propri equilibri e conservando tutto quello che si ha senza mettersi in gioco, la perderà. Ma chi perderà la propria vita per la verità e la giustizia la salverà. Gesù ci dice di prendere "la croce ogni giorno", non per ridurla ad una formulazione astratta, ma per ricordarci che la via della croce implica, ogni giorno, quei necessari gesti di rinuncia, di generosità e di condivisione che ci sono richiesti per trasformare la nostra storia di peccato in storia di salvezza. Seguire Gesù significa rinnovare, ogni giorno, la nostra speranza in Dio. Qui si misura la creatività del cristiano, cioè la sua capacità di calare la visione evangelica dell'esistenza nella vita di ogni giorno. Questo vuol dire che la coerenza, la fedeltà, il coraggio di subire le conseguenze delle scelte ispirate al Vangelo devono concretizzarsi, con semplicità, nella vita di famiglia, nelle attività lavorative, nelle comunità e sul territorio in cui viviamo.
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