Omelia (15-05-2016)
don Alberto Brignoli
Che non ci manchi il respiro!

Quando si hanno difficoltà respiratorie - lo sa bene chi ne soffre - tutto l'organismo ne risente: le cellule perdono energia perché non più alimentate dall'ossigeno, e possono debilitarsi fino al punto di morire e di rendere l'organismo sempre più debole e incapace a sopravvivere. L'aria che respiriamo è per il nostro corpo come il combustibile per una vettura: non ne possiamo fare a meno, altrimenti ci fermiamo. E il nostro respiro non può essere "a metà": non può solamente "inspirare" aria, ma deve anche "espirare", buttare fuori aria, pena il soffocamento. Senza acqua si può sopravvivere tre o quattro giorni, senza cibo forse una quarantina: ma senza l'aria è quasi impossibile resistere più di tre minuti. Ci sarà, allora, un motivo per cui lo Spirito, presenza di Dio nell'uomo e nella storia, si chiama così. Che lo diciamo in latino, "spiritus", o che lo diciamo in greco, "pneuma", il significato è sempre il medesimo: respiro, soffio di vita. Ed è talmente importante, che la principale opera di Dio giunge a compimento solo quando il Creatore immette nell'uomo un "respiro di vita", ossia lo Spirito. Senza lo Spirito, l'uomo non è uomo; senza lo Spirito, Dio non è Creatore. E in Genesi, nel primissimo versetto della Bibbia, prima ancora che Dio pronunci la sua prima parola ("E sia la luce"), lo Spirito già aleggia sulle acque, lo Spirito già domina sulla vita, su tutto ciò che sarà vita.
Inspirazione ed espirazione sono le due fasi, entrambe essenziali, entrambe vitali, della respirazione; sono i due movimenti, i due passi di danza dello Spirito sul palcoscenico del mondo. Uno è conseguenza dell'altro, uno precede l'altro, uno non può esistere senza l'altro. Lo ha spiegato bene Gesù, parlando ai suoi discepoli dello Spirito che avrebbero ricevuto il giorno di Pentecoste. "Riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni [...] fino ai confini della terra": così la scorsa domenica, prima di salutare i Dodici e di salire alla destra del Padre. E oggi, ci parla nuovamente dello Spirito: "Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre". Dov'è che notiamo, in queste due affermazioni di Gesù, il duplice movimento, il doppio passo di danza, le due fasi - inspirazione ed espirazione - del respiro dello Spirito, di quel respiro di vita che è lo Spirito Santo?
Il fatto avvenuto la sera del giorno di Pentecoste lascia ben pochi dubbi all'interpretazione: l'impeto, la forza, oserei quasi dire la violenza con cui "il vento" dello Spirito riempì la casa dove si trovavano "tutti insieme" (chissà di chi si tratta... Dei dodici? Dei discepoli? Dei seguaci di Gesù?) non può che rappresentare il movimento di uscita, l'espirazione, il soffio dello Spirito che esce, che fa uscire, che catapulta la Chiesa all'esterno, al di fuori della sua cittadella inespugnabile, e la apre all'incontro con il mondo intero, per di più in una maniera inspiegabile, ossia "parlando in altre lingue", facendosi cioè comprendere da tutti. E questa è la missione, il soffio che butta fuori, che apre al mondo, che annuncia, che testimonia, che evangelizza.
Ma pure quanto dice Gesù ai discepoli nel Vangelo non lascia margini all'interpretazione: "Il Padre vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre". Chi è il Paràclito? E perché è "altro"? Rispetto a chi è "altro"? Paràclito (è noto, ai più) è un termine greco che significa letteralmente "colui che chiami vicino a te", quindi una persona da te invocata perché venga in tuo aiuto, un tuo assistente. Dio ha mandato nel mondo il miglior assistente dell'uomo, suo Figlio Gesù, il Paràclito per eccellenza, colui che quando l'umanità lo chiama si fa talmente vicino a lei da farsi come lei. La sua presenza nella storia, però, come quella di ogni persona umana, è limitata nel tempo: ecco perché lui ci ha promesso che il Padre avrebbe mandato "un altro Paràclito che rimanga con noi per sempre": e senza mezzi termini lo chiama Spirito Santo. Allo stesso modo, con ben pochi giri di parole, ci ripete ciò che già quindici giorni fa ci aveva detto: non saremo noi ad andare in cerca di lui, sarà lui a venire da noi e - insieme con il Padre e il Figlio - "a prendere dimora in noi". E questa volta, non per un determinato periodo storico o solo per un istante di umanità, ma per sempre. Lui entrerà in noi, come entra in noi l'aria che respiriamo dopo averla buttata fuori, come un'inspirazione dopo l'espirazione. E difatti, a questo ingresso dello Spirito nei nostri cuori e nella nostra vita, spesso diamo il nome che gli spetta: "ispirazione". L'ispirazione, come il colpo di genio di un artista, è la meravigliosa trovata di un Dio che, come continuamente ci butta in mezzo al mondo per annunciare, testimoniare, evangelizzare, di conseguenza continuamente ci ispira aria nuova nei polmoni, ci fa rientrare in noi stessi, ci ricarica, ci fa scoprire l'inesauribile tesoro della sua grandezza, ci ridona quell'aria che non è solo vita, ma è energia, energia per la missione.
Questi due movimenti, ispirazione ed espirazione, interiorizzazione e annuncio, riscoperta di Dio e missione non sono mai mancati e non potranno mai mancare alla Chiesa perché essa possa sopravvivere. E non possono mai rimanere l'uno senza l'altro: mai la tradizione senza la novità, mai la fedeltà alla storia senza lo sguardo aperto al futuro, mai lo slancio verso il domani senza la valorizzazione di ciò che è stato ieri e di ciò che viviamo oggi.
Ma perché questo duplice respiro possa funzionare occorre aria fresca; occorre, cioè, che la Chiesa apra le proprie porte e le proprie finestre perché possa inspirare ed espirare bene. La Chiesa, se vuole vivere una vita nello Spirito, non può pretendere di farlo chiudendosi in sé stessa, sentendosi sotto assedio; non può permettersi di respirare un'aria ammuffita, vecchia, ammorbata, appestata dagli scandali, dalla corruzione, dalla ricerca del privilegio, dalla pretesa di avere il monopolio sulle coscienze, dalla logica del "tanto non cambierà mai nulla", da quegli schemi per cui "è sempre stato così": ci si ispira al passato e ci si butta, come un'espirazione, verso il futuro, nella misura in cui le porte e le finestre della Chiesa sono spalancate! Altrimenti, rimaniamo rinchiusi, rintanati in casa, resi schiavi dalla nostra paura di ammalarci.
"E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura" - sono le parole di Paolo con cui ci congediamo - "ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!»".