| Omelia (12-12-2004) |
| don Roberto Rossi |
|
Il tempo della fede e la vocazione alla gioia "Rallegratevi sempre nel Signore: ve lo ripeto, rallegratevi: il Signore è vicino". Il profeta Isaia quando annuncia la venuta del Salvatore dice così: "Coraggio, non temete, ecco il vostro Dio. Egli viene a salvarvi". E ancora una volta afferma che la venuta del Signore fa cose grandi, porta vita nuova, compie gesti che indicano tutta la sua potenza e il suo amore verso i malati e i bisognosi. E noi sappiamo che ogni uomo è un povero, un malato, un bisognoso di vita e di salvezza. Il Signore è il Dio dell'impossibile. Rende possibile ciò che per noi non è possibile, anzi non è neanche immaginabile. Dice il profeta: "Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa. Essi vedranno la gloria del Signore, la magnificenza del nostro Dio". Per ciechi, sordi, zoppi, sarà capovolta la loro situazione e avranno pienezza di vita, avranno gioia e felicità. Ecco il motivo della vera gioia del cuore: "Il Signore è vicino", il Signore ci ama, ci guarisce, ci salva. Il versetto dell'alleluia che introduce e interpreta il vangelo presenta Gesù mandato a portare il lieto annunzio ai poveri, con tutti i segni della sua potenza e del suo amore verso i più bisognosi. Tutto il testo del vangelo di oggi è un dialogo a distanza tra Giovanni Battista e Gesù. Il Battista vive giorni difficili in carcere con la sua tipica fede dura e rocciosa e Gesù tesse di lui l'elogio più grande. Giovanni è in carcere perché è stato tanto sciocco da dire la verità anche di fronte al capo dello Stato. Ma come ha potuto avere un così scarso realismo politico? È in carcere e ben gli sta, direbbe qualcuno. Nessuno pensa a tirarlo fuori. I suoi amici non sono capaci di organizzare una rivolta: sono tutta gente troppo semplice e piccola. E anche Dio lascia in carcere colui che ha predicato la penitenza nel suo nome: sembra che pure Lui si sia messo dalla parte del più forte. Egli opera dei miracoli nella persona del Figlio. Ma questi miracoli servono solo a guarire tanta povera gente, da cui sembra che il regno di Dio abbia ben poco da guadagnare, mentre non liberano il profeta santo e il precursore ufficiale di Colui che li opera. Giovanni resterà in carcere fino a quando sarà decapitato. Non è facile al profeta fuori combattimento restare in carcere ad attendere una morte certa e proprio lì interessarsi dei miracoli che non servono a salvarlo. Ma il Battista non è una canna agitata dal vento. Crede contro ogni evidenza. È il messaggero, che prepara la strada anche, e in primo luogo, nel proprio cuore a quel Dio che per venire impiega un tempo di una lunghezza disumana e non si affretta neanche quando il suo profeta sembra andare a fondo, a quel Dio che sembra arrivare sempre quando è troppo tardi. Il Battista sa che Dio ha sempre ragione, che vince perdendo, è vivo e vivifica con la propria morte, è quel futuro che non riusciamo ad immaginare. Il Battista crede e questo non è stato facile per lui. Il cuore era amaro e il cielo chiuso. La domanda sgorgata da quel cuore ha un accento tormentato: «Sei tu colui che deve venire?». Ma viene rivolta proprio a colui al quale doveva esser posta: al Dio che è uomo. Nella preghiera si può anche mostrare a Dio il proprio cuore tremante, che quasi non ne può più e non sa fino a quando reggerà ancora. In un cuore orante resta sempre la fede, che riceve la risposta soddisfacente: «Andate e riferite a Giovanni quello che voi udite e vedete... ed è beato colui che non troverà in me occasione di scandalo», anche se viene lasciato in prigione. Tutta la nostra vita di cristiani è un Avvento, in quanto noi aspettiamo colui che deve venire. Solo quando egli giungerà, avremo ragione. Prima sembra che abbia ragione il mondo. "Essi rideranno, voi piangerete", ha detto il Signore. Anche noi siamo in prigione: la prigione della morte, dei nostri problemi, della nostra debolezza e miseria, del bisogno, del dramma della vita. E non ne usciremo vivi. Noi dobbiamo mandare incontro a Colui "che deve venire a giudicare i vivi e i morti" l'ambasceria della nostra fede e della nostra preghiera. "Sei tu? Chi sei? E' vero che tu Signore sei il senso vero della mia vita e della mia morte.?" E questa ambasceria, questa domanda, tornerà ogni giorno con la risposta del Signore Gesù: "Ecco, io vengo... beato colui che non si scandalizza di me". La nostra fede è l'attesa - in ogni situazione - del Signore che viene; la nostra gioia è la certezza e l'esperienza della sua presenza e del suo amore. |