Omelia (05-12-2004)
don Mario Campisi
Il ritorno alle armonie del creato

La liturgia della parola di questa domenica di Avvento si sviluppa sui contrasti.
Nei testi biblici proposti sono bandite le mezze misure e le tinte intermedie. Del resto con un protagonista come Giovanni Battista - ispido nelle sue vesti di peli di cammello, selvatico come il miele di cui si cibava, rude come le locuste che scricchiolavano sotto i suoi denti - i mezzi termini non compaiono neppure in lontananza.
I contrasti (oggi si direbbe antinomie) compaiono già nel testo di Isaia (1^ lettura): lupo-agnello, pantera-capretto, orsa-mucca, aspide-lattante... E poi continuano nel brano di Matteo: deserto-fiume, parola-voce, denuncia-proposta, acqua-fuoco, grano-pula.
Cogliamo allora l'occasione per affidare a queste contrapposizioni tematiche l'annuncio di questa domenica d'Avvento che si riduce alla fine ad una sola grande parola: "Convertitevi".
Il tema della pace messianica ritorna con insistenza costituendo il motivo conduttore di tutto il periodo di Avvento.
Occorre allora chiedersi se nelle nostre comunità stiamo facendo qualcosa perché si giunga alla convivenza del "lupo" e dell'"agnello". Ma convivenza nel senso di cui parla il profeta Isaia: "Pascoleranno insieme...". "Convivialità" che non significa coesistenza ottenuta come momento di tregua, facendo finta che non esistano squilibri. La convivialità si poggia sulla giustizia: "Giudicherà con giustizia i poveri..." (v. 4). E si poggia anche sulla non-violenza attiva: "La sua parola sarà una verga che percuoterà il violento..." (v. 4). Ebbene, nella nostra vita privata e comunitaria, la pratica della giustizia e della non-violenza attiva sta diventando segno di conversione?
Se il "deserto" è il luogo dell'intimità con Dio, della prova, della purificazione, dell'abbattimento degli idoli, viverne oggi la spiritualità deve comportare tante conseguenze: non lasciarsi prendere dall'affano delle cose; non sprofondare nello scoraggiamento del quotidiano; abbattere i piccoli idoli che abbiamo forse eretto accanto alla croce, nel santuario della nostra coscienza. E se il "fiume", nel linguaggio biblico, indica la salvezza che straripa provocando non distruzione, ma novità di vita, sarebbe opportuno chiederci se ci lasciamo lambire o entriamo totalmente in questo "fiume" di grazia proveniente da Dio.
Il Battista, che nel Vangelo di oggi è definito "voce" di Colui che sarà la Parola, deve provocare in noi una conversione all'umiltà. Noi, soprattutto sacerdoti, siamo i servi della Parola. Le prestiamo vibrazioni e risonanze. La portiamo lontano e le diamo cadenze di attualità. Ma la parola è Cristo. E' lui che giudica e che salva.
Lo stile del Battista che rimprovera i suoi uditori è al tempo stesso denuncia-annuncio con una incredibile forza propositiva: "Razza di vipere... Convertitevi... Preparate la via del Signore...".
Alla luce di tutto questo ci sarebbe veramente da chiedersi se anche nelle nostre comunità cristiane lo sbilanciamento sui versanti della denuncia non debba essere ricondotto a più maturo equilibrio mediante proposte positive, incoraggianti, che facciano appello alla speranza. Sarebbe molto triste scambiare la profezia col brontolare cronico, dimenticando che essa è più una danza che un lamento.
E' molto significativo che già in questo tempo forte dell'Avvento lo Spirito Santo sia posto al centro dell'azione salvifica di Dio. Non è raro infatti che il Natale venga percepito come espressione del protagonismo del Padre e del Figlio, relegando lo Spirito Santo al periodo di Pentecoste. La qual cosa sarebbe molto riduttiva.
La denuncia del Battista non è esercitare forme di ricatto o di terrorismo spirituale; e non è neppure dare sfogo all'ingenuità se ci si esercita in una specie di bilancio di previsione. E' solo il tentativo di chi vuol tradurre in spessore di concretezza l'invito alla conversione.