| Omelia (14-11-2004) |
| don Elio Dotto |
|
Coraggiosi per grazia È senza dubbio imbarazzante la pagina evangelica di domenica prossima (Lc 21,5-19): soprattutto per noi cristiani «moderni» che volentieri riduciamo il Vangelo ai luoghi comuni dell'amore vicendevole e della tolleranza. Qui si parla infatti di guerra e di violenza: «si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno...». Vengono alla mente le tensioni internazionali a cui assistiamo quotidianamente; e si affaccia ai nostri occhi lo spettro del terrorismo sempre in agguato. Noi cristiani «moderni» siamo dunque tentati di voltare pagina, e di non confrontarci con questo brano cruento del Vangelo di Luca. E tuttavia credo che non possiamo evitare una simile Parola, anche se è inquietante: anzi, proprio perché è inquietante essa ci interpella. A tale proposito non dovremmo mai dimenticare l'ammonimento di Gesù: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada» (Mt 10,34). Appunto questa – in verità – è l'esperienza di chi intraprende il cammino della fede: esattamente come accadde in quel tempo a Maria, la cui vita fu attraversata da una spada, secondo la profezia del vecchio Simeone (cfr Lc 2,35). Il credente, infatti, viene risvegliato dal sonno dell'indifferenza e della superficialità: e dunque sente più di altri la paura e lo smarrimento. «Sarete traditi perfino dai genitori – conferma Gesù – e metteranno a morte alcuni di voi; sarete odiati da tutti per causa del mio nome». Ma il credente – se è davvero tale – possiede anche la virtù del coraggio: e non è poco. A questo riguardo viene in mente la battuta di don Abbondio ne I Promessi Sposi: «Il coraggio, uno non se lo può dare» (XXV,390). L'espressione certo venne usata da Manzoni per connotare in negativo la figura del povero curato lombardo; eppure essa dice una grande verità. Perché effettivamente il coraggio uno non se lo può dare da solo, neanche se è credente. Coraggiosi si diventa invece per grazia: «mettetevi bene in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò lingua e sapienza a cui tutti i vostri avversari non potranno resistere, né controbattere». In fondo, proprio quando si vuole difendere da soli la propria vita si diventa paurosi: perché subito tale impresa appare impossibile e proibitiva. In questo caso si impara in fretta a chiudere gli occhi, facendo finta che i problemi non ci siano, e spacciando per coraggio questa avventatezza. Ma in tal modo la paura non viene superata, ma soltanto intorpidita. E invece la perseveranza della fede può superare la paura: perché nella prospettiva di chi ha fede è più appagante rischiare la vita che trattenerla gelosamente per sé. È un po' quello che accade ai bambini piccoli, i quali certo hanno molte paure, ma riescono a superarle grazie alla fiducia innata che dimostrano nei confronti del mondo che li circonda: essi infatti familiarizzano volentieri quasi con tutti, perché ancora credono alla fondamentale bontà della vita. Noi invece – sospettosi come siamo (spesso giustamente, per carità) – non ci crediamo più: ma possiamo sempre imparare a crederci di nuovo alla scuola del Maestro di Nazareth. |