Omelia (14-11-2004)
don Roberto Rossi
La fede e l'impegno del credente

Un anno liturgico volge ormai al termine; è un arco di tempo scandito, per noi cristiani, dalla Parola del Signore che, attraverso le letture dell'Antico e del Nuovo Testamento, ci ha rivelato il suo volto, suscitando in noi il desiderio e la sete di incontrarlo. Un volto che apparirà in tutto il suo splendore, domenica prossima, quando la madre Chiesa, ce lo presenterà quale Re dell'universo, Signore del tempo e della storia. Le letture di oggi sono un chiaro e forte invito, per il credente, a vivere il tempo come luogo di salvezza. Forse, ad una lettura superficiale, la Parola proposta incute timore e alimenta in noi la paura di Dio, del suo giudizio, della sua condanna. Ma quest'ultima non dipende da lui perché "per voi cultori del mio nome, sorgerà il sole di giustizia" e per coloro che avranno atteso il "sorgere di questo Sole", vegliando nella notte del tempo presente, ci sarà salvezza e "nemmeno un capello del loro capo perirà".

Nell'attesa siamo però chiamati dalla storia, dagli eventi anche drammatici del nostro tempo, a non temere, ma a crescere nella consapevolezza che solo Dio è il Signore della storia e solo lui ha in mano le redini del mondo. Siamo chiamati, dunque, alla perseveranza, a non desistere dal credere, sempre e comunque, alla fedeltà del Signore nella certezza che "chi persevererà sarà salvato" e ci verrà donato ciò che avremo da sempre e con "ansia" atteso: la pienezza della vita.

"Dove va la vita umana? Che cosa ci aspetta al di là della morte? Dove va la corsa degli anni e del tempo?"
Sono domande che tutti avvertiamo. Alcuni rispondono soffocando il problema, altri danno risposte insufficienti (pensiamo alla diffusione della magia, dell'oroscopo, dell'astrologia): sono risposte false a problemi veri. Noi cerchiamo in Dio la risposta alla domanda sul futuro dell'uomo: Dio è l'unico che può rispondere.

La prima lettura è tratta dal libro di Malachia. Molti Giudei dicevano: "Beati i superbi, che pur facendo male, si moltiplicano" (3,15).

E' l'obiezione di sempre: anche di oggi! "C'è tanta gente che fa il male - si dice - ed è più fortunata di chi va in chiesa!" Il profeta risponde con un annuncio di fede, un annuncio che riguarda il futuro: "Sta per venire il giorno rovente come un forno. Tutti i superbi e tutti coloro che commettono ingiustizia sono come paglia che brucia. Per voi, cultori del mio nome, sorgerà il sole di giustizia" (3,19 -20).

In queste parole del profeta c'è la coscienza della gravità dei fatti della storia umana, c'è il riconoscimento della situazione di ingiustizia in cui si muove la storia, ma c'è una speranza: Dio resta Dio e verrà il giorno del trionfo del giusto che si appoggia a Dio.

Il Vangelo riprende lo stesso problema e lo illumina con una risposta più dettagliata perché, in Cristo, Dio ci ha detto tutto quello che è utile per il cammino della nostra vita.

Il discorso di Gesù è provocato da una circostanza: lo spettacolo del Tempio di Gerusalemme.

Ma che significa questa profezia di Gesù? Significa che come il Tempio, a causa della corruzione religiosa di Israele, è finito miseramente, così finirà ogni corruzione, ogni prepotenza, ogni sopraffazione. Il giudizio di Dio sulla città di Gerusalemme è un ammonimento: l'empio sarà disperso come pula nell'aia, mentre il giusto fiorirà come un cedro del Libano. Certamente questo è un atto di fede, ma la storia ci ha dato già prove più che sufficienti a favore della parola di Cristo: non ci resta che attendere fiduciosamente il suo ritorno, cioè il giorno del giudizio di Dio.

Nell'attesa cosa deve fare il cristiano? Nell'attesa del giorno di Dio che cosa accadrà alla Chiesa?

San Paolo, nella seconda lettura, invita i cristiani all'impegno del lavoro.

Perché? Perché la fede non dà diritti, ma dà impegni; la fede non è una scorciatoia, ma una missione e una vocazione di Dio. Il cristiano, allora, più degli altri deve lavorare, deve donare, deve servire il prossimo, deve amare: solo così può attendere senza paura il giorno di Dio. La vita non è uno scherzo, la libertà non è un gioco e la fede non è un ornamento qualsiasi. Questo desiderio non deve però spingere al disimpegno. (Comastri, predicate la buona notizia. LDC).

Paolo ci esorta con forza a "lavorare", a non essere oziosi, a divenire sempre più cittadini del mondo in cui viviamo, sentendoci più partecipi delle attese, delle speranze, delle sofferenze dell'umanità. Per noi, oggi, ciò significa anche lottare affinché ad ogni uomo vengano garantiti i diritti fondamentali, la libertà, la giustizia e la pace, la possibilità esprimere la propria fede.

Gesù prevede guerre, rivoluzioni, terremoti, carestie e pestilenze: sono tutti segni che parlano della malattia profonda del mondo (che si chiama peccato) e invitano a guardare al di là di questo mondo. Il mondo, infatti, non è ancora pienamente redento: la redenzione è solo un lievito, un seme, però il futuro rivelerà la forza di questo lievito.

Gesù prevede persecuzioni: "Metteremo le mani su di voi e vi perseguiteranno". " Metteranno a morte alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome".

Anche queste parole si stanno avverando continuamente dalle persecuzioni del primo secolo cristiano fino ai giorni nostri. La Chiesa cresce nella persecuzione e "il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani" (come diceva Tertulliano). La nostra fiducia, il nostro ottimismo, la nostra speranza non hanno motivazione umana: la Chiesa vince credendo in Dio e, quando crede, è vittoriosa anche se viene crocifissa. Esattamente come Gesù Cristo.(Comastri, ibidem).