Omelia (27-10-2013)
Paolo Curtaz
Commento su Lc 18,9-14

La preghiera è una questione di fede: credere che il Dio che invochiamo non è una specie di sommo organizzatore dell'universo che, se corrotto, potrebbe anche concederci ciò che chiediamo.


I farisei erano devoti alla legge, cercavano di contrastare il generale rilassamento del popolo di Israele osservando con scrupolo ogni piccolissima direttiva della legge di Dio. L'elenco che il fariseo fa, di fronte a Dio, è corretto: per zelo il fariseo paga la decima parte dei suoi introiti, non soltanto come tutti, dello stipendio, ma finanche delle erbe da tisana e delle spezie da cucina! Qual è allora, il problema del fariseo? Semplice, dice Gesù, è talmente pieno della sua nuova e scintillante identità spirituale, talmente consapevole della sua bravura, talmente riempito del suo ego (quello spirituale, il più difficile da superare), che Dio non sa proprio dove mettersi. Peggio: invece di confrontarsi con il progetto che Dio ha su di lui, come lo ha su ciascuno di noi, il fariseo si confronta con chi a suo parere fa peggio, con quel pubblicano, lì in fondo, che non dovrebbe neanche permettersi di entrare in chiesa! Questo è il nocciolo della questione: avviene che ci mettiamo - sul serio! - alla ricerca di Dio, ma non riusciamo a creare uno spazio interiore sufficiente perché egli possa manifestarsi. Con la testa e il cuore ingombri di preoccupazioni, di desideri, di pensieri, di gelosie e di paragoni con gli altri al punto che concretamente non riusciamo a fargli spazio!