Omelia (06-10-2013)
Paolo Curtaz
Commento su Lc 17,5-10

Il Dio di Israele chiede fiducia, il Dio che ha camminato nel deserto e sofferto, il Dio che - esausto - è diventato uomo (fragilità, stanchezza, sudore, decisione, rischio) per raccontarsi chiede fiducia, non uno qualsiasi. Il Dio che ha dimostrato milioni di volte quanto dolorosamente ama.


Fidatevi almeno quanto un granellino di senapa, dice il Maestro. Amico: abbandonati nelle braccia di Dio; ma sul serio, non per finta. Conosco persone che - con l'acqua alla gola - mettono alla prova Dio. Si fidano a parole ma non si staccano dalla riva per prendere il largo. A volte la nostra vita è irrequieta e piena di dubbi ma non ce ne stacchiamo, invochiamo Dio, senza poi lasciargli la possibilità di agire e di salvarci; invochiamo Dio, sì, spiegandogli, però, cosa deve fare. Vuoi essere discepolo? Metti la tua vita e la tua volontà nelle mani del Maestro: davvero, sul serio. Occhio però: normalmente Dio ascolta, spesso in maniera così eclatante che ti viene da sorridere. L'unico serio rischio della preghiera è che Dio ci ascolti, l'unica controindicazione dell'abbandonarsi in Dio è che poi rischiamo pericolosamente la santità. Seconda provocazione: siamo servi inutili. Cioè il mondo è già salvo, non dobbiamo salvarlo noi. A noi è chiesto di vivere da salvati, a guardare oltre, al di là e al di dentro. A noi Gesù chiede di vivere come uomini di fede, a camminare nel nostro cammino con un cuore compassionevole e gravido di pace, fecondo e accogliente. Con leggerezza. Per il resto lasciamo fare a Dio il suo mestiere.