Commento su Lc 14,25-33
Alla fine dell'estate di riflessione, il Signore ci invita a farci due conti in tasca, per accorgerci che il nostro cuore ha bisogno di una pienezza che Dio solo può donare. Gesù non si propone come il fondatore di una religione ma come l'unico in grado di portarci a Dio e di vivere in pienezza.
Gesù, oggi, incalza e ci sfida: egli pretende di essere più di ogni affetto, più della gioia più grande (l'amore, la paternità, la maternità) che un uomo possa sperimentare. Amare lui di più significa che egli è in grado di darci più della più grande gioia che siamo in grado di vivere. Che presuntuoso questo Gesù! Davvero può donare una gioia più grande della più grande gioia che riusciamo a sperimentare? Può. Fratelli e sorelle come noi, non esaltati, non "strani", non diversi, hanno scoperto questa cosa, ci testimoniano che sì, il Signore è la pienezza della vita. E il cristianesimo ha scavalcato duemila anni di storia e di mediocrità dei propri fedeli perché (pochi) uomini e donne divorati dall'incontro con Cristo lo hanno reso credibile. Sì: è possibile incontrare il Cristo. Interiormente, nella preghiera, nel volto del fratello, per attimi. Eppure è possibile, nonostante i nostri evidenti limiti. Gesù è passione infinita, dono totale, pienezza, inquietudine. Egli è. Facciamoci bene i conti in tasca, allora, cercatori di Dio, calcoliamo attentamente su cosa stiamo investendo, cosa ci stimola e ci inquieta, ci distrae e ci smuove. Solo Dio può colmare la nostra inquietudine, lui solo riempire il desiderio di infinito che abita in ciascuno di noi.
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