Omelia (03-10-2004)
don Elio Dotto
Credere e decidersi

Ogni giorno dobbiamo prendere delle decisioni. E dunque ogni giorno la nostra libertà è messa alla prova. Accade però non di rado che le nostre decisioni appaiano incerte e tormentate. A volte, anzi, preferiamo addirittura non decidere: preferiamo cioè rimandare ad un altro giorno il compito ingrato di scegliere, oppure preferiamo che siano gli altri a scegliere per noi. Ci sembra infatti più facile rimanere spettatori, piuttosto che lasciarci coinvolgere in scelte di cui non conosciamo del tutto le conseguenze.
Tale difficoltà risulta evidente davanti alle scelte definitive: perché se è faticoso scegliere nelle piccole questioni della vita quotidiana, tanto più sarà difficile scegliere «per tutta la vita». A questo proposito, emblematico è il caso del matrimonio, al quale spesso si giunge tardi e con riserva. Sarebbe certo facile deprecare un simile atteggiamento, e magari prendersela con i giovani che non sanno decidere: ma risulterebbe anche inutile. Si tratta invece di capire le radici di questa indecisione: nella consapevolezza che essa riguarda tutti, oggi più di ieri.
Ci accorgiamo, in questo modo, che il problema non sta tanto nella fragilità psicologica degli individui, o nella complessità del contesto sociale odierno: il problema piuttosto sta in un difetto di fede. In altre parole: noi oggi «siamo con tanta frequenza indecisi a proposito di quello che conviene fare nelle singole situazioni, perché in realtà non abbiamo ancora deciso se convenga vivere, e per che cosa convenga vivere» (G. Angelini).
Appunto: la nostra fede è debole. Noi cioè non crediamo abbastanza alla nostra vita, alle promesse e alle speranze che la vita ogni giorno ci dischiude. Al contrario, noi ci lasciamo spaventare dagli imprevisti e dalle delusioni della vita, da quelle ombre minacciose che già il profeta Abacuc descriveva: «ho davanti rapina e violenza e ci sono liti e si muovono contese» (cfr la prima lettura di domenica: Ab 1,2-3; 2,2-4). Tali visioni rendono inquieto il nostro cuore, al punto che dubitiamo se davvero convenga vivere.
Diverso è invece l'atteggiamento del servo della parabola raccontata da Gesù nel Vangelo di domenica (Lc 17,5-10). Quel servo ha faticato tutto il giorno, e ora – senza indecisioni – si rimbocca la veste per servire ancora il suo padrone, nonostante la stanchezza. Egli infatti sa che conviene lavorare in quel modo, perché dopo mangerà e berrà anche lui; e dunque non sta a chiedersi se sia giusto o non sia giusto fare quello che fa. Quel servo cioè crede nella ricompensa che riceverà dal padrone, e questo gli basta per motivare le sue azioni.
«Così anche voi – commenta Gesù – quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato dite: siamo servi inutili; abbiamo fatto quanto dovevamo fare». Ma noi, purtroppo, non abbiamo la stessa fede di quel servo: prevalgono infatti ancora la diffidenza e la paura. E allora non ci resta che fare nostra la preghiera che gli apostoli rivolgono a Gesù: «Aumenta la nostra fede!». Perché soltanto imparando la fede di Gesù potremo essere liberi e determinati come lui.