Omelia (29-08-2004)
don Elio Dotto
L'umiltà di chi non recita

Certo che deve essere stata piuttosto brutta la scena che quel sabato si presentò agli occhi di Gesù, nella casa in cui era ospitato per il pranzo (Lc 14,1.7-14). «Gli invitati sceglievano i primi posti», annota l'evangelista Luca. Egli non aggiunge altro: eppure noi riusciamo facilmente ad immaginare la composta agitazione di quegli invitati, ansiosi di trovare un'adeguata collocazione alla tavola del Maestro di Nazareth.
Così succede anche ai giorni nostri: pure oggi si cercano i primi posti. Magari la cosa è camuffata meglio: all'apparenza infatti, spesso accade che si cerchino gli ultimi posti, e si facciano mille complimenti prima di accettare un posto migliore. E tuttavia anche così si manifesta il desiderio di primeggiare e di essere notati: basta guardare gli occhi preoccupati di chi si è seduto all'ultimo posto, ed attende con impazienza che il padrone di casa lo noti e lo faccia venire più avanti.
Appunto contro un simile atteggiamento Gesù racconta la parabola che leggiamo nel Vangelo di domenica. Di essa noi ricordiamo facilmente la sentenza conclusiva, diventata proverbiale: «chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato». Ed è proprio a partire da questa sentenza che noi rileggiamo la parabola come una raccomandazione dell'umiltà. Succede però spesso che la nostra idea di umiltà sia piuttosto confusa, ed anche distorta. Noi infatti sovente intendiamo l'umiltà in modo riduttivo: ci sembra cioè che essere umili significhi quasi nascondere le nostre buone opere. Eppure non è cosa brutta essere orgogliosi di un buon lavoro che abbiamo portato a termine o di un difetto che siamo riusciti a correggere.
In realtà essere umili non significa avere una scarsa considerazione di sé. Significa piuttosto evitare di fingere: evitare cioè di cadere nella recita comune di chi vuole apparire diverso da quello che è. Quante volte infatti accade che le nostre parole e i nostri gesti non corrispondano per nulla a ciò che realmente pensiamo. Proprio come quando ci sediamo all'ultimo posto, pensando però di meritarne uno migliore.
Eppure, lo sappiamo, il nostro valore effettivo non dipende da quello che gli altri vedono. E dunque non serve a niente fingere: soprattutto non serve che ci fingiamo buoni. In tal modo infatti non soltanto inganniamo gli altri, ma illudiamo anche noi stessi: rischiando grosse delusioni.