Omelia (08-08-2004) |
don Elio Dotto |
Consolazione e impegno Appaiono estremamente consolanti le parole di Gesù con cui si apre la pagina evangelica di domenica (Lc 12,32-48): «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno». Alla consolazione fa però subito seguito un ammonimento: «Vendete ciò che avete e datelo in elemosina». Come a dire: non può essere consolato chi non si impegna di conseguenza. Questa osservazione mette in evidenza un atteggiamento tipico di Gesù: egli sempre perdona, manifestando una generosità superiore a quella dei farisei del suo tempo; e tuttavia al perdono aggiunge anche un comandamento: «Va' e d'ora in poi non peccare più». È interessante notare come il legame tra perdono e comandamento non sia perfettamente simmetrico: il perdono è comunque incondizionato, e non dipende dall'obbedienza al comandamento. Eppure il comandamento è necessario, perché «a chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più». Riscopriamo in questo modo una legge fondamentale di ogni esperienza religiosa, e – in genere – di ogni esperienza umana: soltanto chi si mette in gioco può custodire il dono ricevuto. E mettersi in gioco significa appunto non accontentarsi semplicemente del bene che si riceve, ma avventurarsi sulla strada dell'impegno. Esattamente come fece Abramo, di cui ci parla la seconda lettura di domenica (Eb 11,1-2.8-19): egli «chiamato da Dio, obbedì, partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava». Anche noi a volte non sappiamo bene dove andiamo: eppure solo se ci mettiamo in cammino – obbedendo al comandamento di Dio – possiamo ricevere l'eredità che ci è stata promessa attraverso le parole della consolazione che di tanto in tanto abbiamo incontrato. Ma se rimaniamo fermi, le parole della consolazione pérdono in fretta la loro efficacia: e noi rischiamo grosse delusioni. |