Omelia (01-08-2004)
don Elio Dotto
I ricchi e la salvezza

Tra i ricchi e la salvezza non c'è per forza opposizione: Gesù non ha mai detto che un ricco è escluso dal regno di Dio. E tuttavia chi vive nella ricchezza corre alcuni pericoli che non deve sottovalutare.
Il discorso oggi è particolarmente attuale perché in genere siamo tutti più ricchi di un tempo: nonostante le difficoltà quotidiane, dobbiamo riconoscere che il nostro livello di benessere è cresciuto. Dunque possiamo identificare meglio quei pericoli di cui ci parla anche il Vangelo di domenica (Lc 12,13-21).
Il primo pericolo è ben rappresentato dai due fratelli che litigano per l'eredità. L'immagine ci è purtroppo famigliare, ed esprime con sufficiente realismo come la ricchezza possa creare divisioni, inquinando anche i sentimenti più cari. Basta questa scena di ordinario litigio ad avvertirci sui rischi che la ricchezza porta con sé.
Il secondo pericolo è ugualmente insidioso, e potrebbe essere riassunto così: la ricchezza genera ansia. Parrebbe vero il contrario, perché in fondo chi è ricco ha una sicurezza su cui contare: in realtà non c'è persona più ansiosa di quella che fa dipendere la qualità della propria vita dalle ricchezze possedute. È sufficiente pensare all'uomo ricco della parabola raccontata da Gesù: egli non è tranquillo, perché deve cercare una sistemazione per i suoi molti averi. In altre parole noi oggi diremmo che quell'uomo deve investire le sue ricchezze: con tutti i rischi e le preoccupazioni che questo comporta.
A questi due pericoli dobbiamo però aggiungere quella considerazione fondamentale che ci è suggerita dalla domanda conclusiva della parabola evangelica: «Quello che hai preparato di chi sarà?». Ne troviamo una riformulazione efficace nel libro del Qoèlet (prima lettura di domenica: 1,2; 2,21-23): «Chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo dovrà poi lasciare i suoi beni a un altro che non vi ha per nulla faticato: anche questo è vanità e grande sventura». L'osservazione è impietosa e mette a nudo il limite radicale della ricchezza: essa non dura per sempre; e dunque sarebbe rischioso affidare ad essa il destino della nostra vita.
In conclusione, vengono in mente le parole del salmo 61: «Alla ricchezza, anche se abbonda, non attaccate il cuore». Riflettere sui pericoli della ricchezza non significa disprezzarla: ma significa comunque non farvi dipendere la nostra salvezza. Chi attacca il proprio cuore alla ricchezza finirà insieme ad essa; chi invece attacca il proprio cuore a Dio – arricchisce davanti a lui – sarà erede della sue promesse. È questo il motivo per cui ripetiamo la professione di fede del salmista: «Solo in Dio riposa l'anima mia; da lui la mia salvezza. Lui solo è mia rupe e mia salvezza, mia roccia di difesa: non potrò vacillare».