Omelia (25-07-2004) |
don Elio Dotto |
La preghiera e le formule Un tempo, nelle famiglie dei nostri nonni, la recita del Rosario era una pratica diffusa. Avveniva spesso alla sera, al termine della giornata, attorno al tavolo della cucina, oppure, specialmente d'inverno, nella stalla degli animali. Erano soprattutto le donne ad iniziare il Rosario: anche gli uomini però vi partecipavano, sottovoce magari, ma non per questo con meno devozione. Così appunto accadeva nelle famiglie dei nostri nonni. A noi la cosa oggi può sembrare lontana e superata: la recita del Rosario, infatti, spesso ci pare una inutile ripetizione di formule. Forse nessuno di noi mette in dubbio l'importanza della preghiera: eppure tutti, alla fine, siamo convinti che per essere vera la preghiera deve essere spontanea. «Preferisco pregare con parole mie – mi diceva l'altro giorno un giovane – piuttosto che ripetere delle formule». Tali considerazioni certo non sono del tutto errate: ma neanche sono complete. Pure le formule, infatti, sono necessarie per la preghiera: non basta essere spontanei. Non basta dire: io prego con parole mie. Quante volte lo abbiamo detto, e poi ci siamo letteralmente dimenticati di pregare. La preghiera – come ogni altra esperienza umana – ha sempre bisogno di formule, di riti, di norme. Ne abbiamo la prova nel racconto evangelico di domenica (Lc 11,1-13). I discepoli di Gesù erano sempre molto colpiti dall'intensità con cui il loro Maestro pregava: nei lunghi mesi della loro permanenza con lui non erano però stati capaci di impararne il segreto. Un giorno dunque i discepoli si fecero coraggio, e domandarono aiuto: «Signore, insegnaci a pregare». Noi qui ci saremmo aspettati da Gesù una risposta originale: magari una raccomandazione circa la spontaneità della preghiera; oppure una descrizione dei sentimenti da manifestare quando si prega. E invece no, la risposta di Gesù è molto più netta: «Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome...». In questo modo Gesù non disquisisce sulle qualità della preghiera, ma insegna direttamente una formula per pregare, quella formula del Padre nostro che noi stessi oggi recitiamo nella redazione di Matteo. Dunque, le formule sono necessarie per pregare. Non per nulla noi cristiani ci impegniamo ogni settimana a partecipare ad un rito preciso e strutturato quale è la celebrazione dell'Eucaristia: un rito dove neanche il sacerdote, alla fine, prega con parole sue. E tuttavia è proprio nella celebrazione fedele del rito eucaristico che noi possiamo dare forza e sostanza alle parole nostre, le quali altrimenti apparirebbero presto deboli ed insufficienti. Certo, per pregare non bastano le formule, è necessario anche avere un cuore ben disposto: bisogna cioè avere gli stessi sentimenti di Gesù, quei sentimenti che lo hanno animato dai giorni del deserto fino alla notte del Getsèmani. Ma appunto per questo ogni volta che preghiamo ci viene dato lo Spirito Santo: e dunque sarà lo Spirito a rendere vive le parole ripetitive della nostra preghiera. |