Omelia (04-07-2004) |
don Mario Campisi |
Lo stile della missione Una missione la cui ampiezza schiaccerebbe anche le persone più capaci e sperimentate. E loro, i discepoli, sono pochi per far fronte ad un simile compito. Una penuria di mezzi che doveva far sorridere anche a quei tempi: neppure la borsa, la bisaccia, i sandali. Una fretta che doveva cozzare con l'animo orientale, così incline ai convenevoli, alle espressini di amicizia, di simpatia, ai saluti. Un tesoro prezioso che portano con sé: la pace, lapace del regno di Dio. Una pace offerta, non imposta. Una pace donata, non tirata dietro. una pace, quindi, che va incontro all'accoglienza e al rifiuto. Una pace che incontra la libertà dell'uomo e di una donna che possono dire di sì o di no. Così comincia la missione, con uomini che accettano queste condizioni, che a noi sembrano proibitive. Indifesi e disarmati, non vengono tuttavia abbandonati alle forze del male. Proprio la fiducia che hanno in Dio e nel suo Regno li mette al riparo da ogni male e li rende addirittura capaci di vincere le forze del male, quel male che provoca sofferenza, abbattimento, depressione, quel male che viene chiamato con diversi nomi: malattia, cattiveria, peccato... Poiché non hanno nulla con sé, vivranno di accoglienza, di ospitalità, di quello che verrà loro dato da mangiare e da bere. Sono operai del Vangelo, della buona notizia del Regno: hanno diritto al necessario per vivere. Sono "messaggeri" di Dio: accoglierli o rifiutarli non è senza conseguenze. Perché quello che viene offerto non è l'ennesima pubblicità di un prodotto ingannevole. Né una delle tante invenzioni degli uomini per trovare seguaci. E' la salvezza, la pace la possibilità di dare senso alla propria esistenza, di dare risposta a tutte le domande profonde che ci si porta dentro. Ecco perché chi rifiuta deve sapere quello che fa: di qui il gesto tremendo di scuotere la polvere dalle proprie calzature, per mettere davanti ad una decisione da cui dipende la riuscita o il fallimento della vita, la gioia o l'infelicità. La missione della Chiesa, oggi, dovrebbe essere il naturale prolungamento di questa missione; gli "operai" di oggi dovrebbero ricalcare lo stile di quelli di allora... Allora perché meravigliarci se la gioia degli inviati non è la stessa dei 72? Non corriamo il pericolo di portarci dietro valigie troppo piene e di dimenticare l'essenziale? Di costruirci armature e difese consistenti e poi di sultare tremendamente fragili e deboli di fronte al male? |