| Omelia (24-11-2013) |
| Gaetano Salvati |
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Commento su Luca 23,35-43 "Andremo con gioia alla casa del Signore", recita il ritornello del Salmo. La gioia cantata dal salmista, e che appartiene ad ogni cristiano, è la consapevolezza, pura e sincera, che Cristo è il nostro re, il pastore bello e buono che si prende cura del Suo popolo. Nel Signore Gesù, infatti, tutta l'umanità è resa capace di partecipare "alla sorte dei santi nella luce" (Col 1,12), poiché, liberandoci "dal potere delle tenebre" (v.13), cioè perdonando i nostri peccati per mezzo del "sangue della sua croce" (v.20), ci ha "trasferiti" nel Suo regno. In Lui, quindi, siamo in grado di contemplare la gloria eterna di un Dio, fatto uomo per amore, che ha conciliato, non distrutto, tutta la storia dell'umanità. Nel Suo amore, la creatura comprende di far parte di un nuovo inizio, in cui Egli è il capo e noi i protagonisti, non semplici agenti passivi, di una nuova creazione, di un principio trasformato da Lui: siamo membra attivi della Chiesa, del Suo corpo (v.18); siamo parte di un mistero di reciproca appartenenza, Cristo e la Chiesa. Tale mistero di alleanza si esprime attraverso la nostra conversione e la nostra esistenza: se abbiamo conosciuto il Maestro non siamo più le stesse persone, ora dobbiamo impegnarci a riversare la Sua misericordia agli altri, ai fratelli lontani dalla verità. Appartenere alla Chiesa significa pure divenire segno dell'umanità salvata: se Cristo è con noi, e abbiamo aperto il cuore alla Sua dolce iniziativa, siamo chiamati alla responsabilità della testimonianza, all'annuncio del vangelo. Forse non è facile lavorare nella Chiesa del Salvatore, ancor più essere responsabili. Questo perché a volte ci illudiamo che il Signore sia un re troppo umano, pronto a stabilire una giustizia solo terrena. Il vangelo di Luca, invece, descrive che il Figlio, "primogenito di tutta la creazione" (v.15), è il Dio crocifisso per noi, il quale, nonostante le derisioni (Lc 23,36), gli insulti e la tentazione a scendere dalla croce (v.37-39), rimane sul trono della sofferenza, per ribadire all'uomo che ogni croce è assunta dalla Sua, ogni afflizione può essere superata se si rivolge lo sguardo al Calvario. Nel Dio crocifisso, non nel Dio cinico che vuole i nostri patimenti, l'umanità trova "tutta la pienezza" (Col 1,19), la gioia accennata all'inizio. A riguardo, vi è una frase di Gesù: "oggi con me sarai in paradiso" (Lc 23,43). Il Signore rivolge quest'espressione ad un malfattore, crocifisso come Lui. Questi, condannato giustamente per quello che ha fatto (v.41), rappresenta la creatura afflitta dagli errori del passato. Al suo lato non ha chi lo disprezza, ma la misericordia che accoglie chiunque riconosce nel re, crocifisso per noi, il Salvatore del mondo. Infatti, all'ex malvivente, come a noi, è rivolta la parola "oggi", trionfo estremo dell'amore che si dona e sempre perdona. "Oggi", adesso siamo liberati dal male e resi disponibili per condividere l'eternità. In questo dono e nel Suo perdono, possiamo riconoscere il nostro re (la nostra gioia) e imitare (lavorare e testimoniare) la Sua azione. Amen. |