Omelia (17-11-2013)
Gaetano Salvati
Commento su Luca 21,5-19

La liturgia della Parola di oggi esorta ciascuno di noi alla perseveranza, a camminare diligentemente dietro il Maestro per non essere ingannati da quei falsi profeti, dai "molti" (Lc 21,8) che vengono nel Suo nome con la volontà di mitigare la vita spirituale con una condotta dissoluta o fiacca. San Paolo, nella seconda lettura, afferma che il "pane" (2Ts 3,8), immagine dell'umanità che acconsente all'iniziativa divina, non può essere il frutto della negligenza, ma del nostro lavoro tranquillo e operoso (v.12), offerto agli altri con generosità e gratuità.
La grande applicazione a "lavorare" su di sé per darsi abbondantemente ai fratelli sembra la chiave di lettura per evitare di improvvisare la perseveranza cui il Signore Gesù ci invita per non essere ingannati. Lavorare su di sé significa sforzarsi di fare spazio alla speranza, all'intima convinzione che il Figlio incarnato nella nostra storia è il Signore che attende l'umanità, che l'ha redenta e salvata dalla morte. Partire da questa professione di fede per molti potrebbe risultare facile. Invece, la sola disposizione interiore a condividere la storia di Dio nella storia dell'uomo, cioè definirsi credenti, come pure relegare la vita cristiana solamente in alcuni momenti dell'anno, Natale, Pasqua o la domenica, non basta. È necessario, infatti, impegnarsi a persistere nella convinzione, dono dell'Alto, che Gesù è il Signore in ogni attimo della nostra giornata, in qualunque situazione, positiva o negativa, dalla più importante a quella che si ritiene banale: è il Salvatore, Colui che ha tolto la nostra esistenza dalle tenebre del peccato e dell'oblio. Il maggiore sforzo, però, non è questo. Gesù nel vangelo di Luca parla di persecuzione (Lc 21,12), di portare il peso dell'incomprensione, che può giungere fino a essere odiati "perfino dai genitori, dai fratelli e dagli amici" (v.16), a causa del Suo nome (v.12). Questo, forse, il motivo per cui non siamo perseveranti: a volte abbiamo paura di annunciarLo per timore di fallire nel nostro intento; ci illudiamo di non essere all'altezza della situazione e ci interroghiamo sul senso della nostra esistenza, sprecando energie e risorse per ricercare il nostro ruolo all'interno della comunità cristiana. Ecco, allora, la speranza offerta dal vangelo: "Nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto" (v.18). Il Maestro si fida di noi, nonostante le cadute, gli errori, la scarsa attenzione ai bisogni degli altri: è sempre dalla nostra parte per indicarci la strada già percorsa dal Suo amore. A noi non spetta, quindi, fare tante cose, rischiando di perdere lo sguardo verso l'essenziale, ma perseverare nell'amore, adempiere, cioè, il nostro dovere di cristiani che è quello di testimoniare che l'uomo, amato da Dio, può, liberamente e coscientemente, rispondere all'amore. In quest'amore salveremo la nostra vita (v.19), parteciperemo cioè, coinvolgendo tutti i fratelli, alla gioia eterna. Amen.