Omelia (29-09-2013)
don Giovanni Berti
Il nome del ricco

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Qualche giorno fa sono stato in visita a Pompei, la famosa città romana sepolta improvvisamente dalla cenere del Vesuvio nell'eruzione nel 79 d.C.
Girare per le strade di Pompei è un'esperienza incredibile pensando soprattutto al fatto che nel tempo di una notte una città ricca e grande è improvvisamente scomparsa con molti anche dei suoi abitanti. Sembra davvero di fare un salto indietro nel tempo entrando in negozi, taverne, luoghi di culto e case di duemila anni fa, che se anche sono state travolti da un cataclisma impressionante, conservano intatto e facilmente comprensibile il loro utilizzo.
Mi hanno colpito soprattutto le case e le ville che si aprono lungo le strade, e che sono riconoscibili dai colonnati interni, le stanze e sale affrescate. Molte delle ville più grandi conservano i segni di una ricchezza che l'eruzione ha fissato per l'eternità. Di molti edifici non si quasi nulla dei loro abitanti, e le case sono spesso indicate non dal nome del proprietario sconosciuto ma da qualche elemento architettonico che gli archeologi hanno trovato e che è singolare e unico (Villa dei Misteri, Casa del Fauno...). I ricchi proprietari della casa sono stati dimenticati, e di loro non rimane che quello che hanno costruito e abitato.

Sembra proprio la stessa sorte riservata al ricco che Gesù mette come protagonista della parabola che racconta ai farisei. Questo uomo è identificato non dal nome proprio, ma dal fatto che banchetta lautamente e veste di porpora (colore preziosissimo all'epoca) e di lino finissimo.
Lazzaro, il povero che sta sotto la mensa del ricco senza nome, non ha altro che la sua povertà e quel nome che indica la persona e non quello che ha o non ha...
Il ricco, pieno di beni ma povero di nome, finisce in un tormento eterno che non viene da quello che aveva, ma dal fatto che non l'ha saluto condividere, ignorando completamente il povero che aveva ai piedi. Le ricchezze sono diventate una prigione per il ricco, e gli hanno impedito di vedere la ricchezza vera che aveva sotto il naso, cioè l'uomo Lazzaro, nel quale Gesù si identifica.
Infatti è proprio Gesù quel povero. Il Maestro sta parlando ai farisei, così ricchi di se stessi e delle loro sicurezze da non accorgersi di chi hanno davanti, cioè Gesù, il Figlio di Dio che da ricco che era in modo infinito, si è fatto povero per i poveri, ricco solamente di un amore infinito.
Io che leggo e medito questa parabola, la sento davvero una provocazione per me. Sento che è un forte avvertimento a stare attento alle ricchezze di cui mi circondo come sicurezza ma che posso diventare come una muraglia, che non solo mi identifica e mi toglie la mia identità vera, ma mi impedisce anche di vedere e incontrare il povero che mi sta accanto. Le ricchezze rischiano alla fin fine di impedirmi di vedere e incontrare anche Gesù stesso.
Pompei è davvero unica e affascinante, ma rimane comunque sempre una città morta con i riflessi di una ricchezza antica. La comunità cristiana è chiamata invece a diventare una città viva, dove le opere per cui essere ricordati nel tempo non possono essere i monumenti e le grandi costruzioni, ma la carità e la condivisione.
Nei secoli come cristiani abbiamo edificato cose meravigliose, capolavori di architettura e arte che superano i secoli. Ma non sono queste le cose per cui siamo nati e che rendono vera testimonianza. I veri capolavori immortali della fede sono per esempio i tanti santi che nei secoli hanno lasciato segni indistruttibili di Vangelo vissuto.
Vorrei anche io essere come loro, ricordato non per quel poco o tanto che possiedo materialmente, ma per l'amore e la fedeltà al Vangelo che sono capace di vivere.

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