Omelia (22-09-2013)
Gaetano Salvati
Commento su Luca 16,1-13

La prima lettura, tratta dal libro del profeta Amos, narra di un uomo che è costretto suo malgrado da Dio a farsi voce contro gli usurai che tiranneggiano e sfruttano "gli umili del paese" (Am 8,4). Il testo così esigente sembra essere in opposizione con la parabola del vangelo, creando smarrimento nella nostra mente, radunati a riconoscere come modello un "amministratore disonesto", astuto. (Lc 16,8). In realtà, tale parabola, frutto dell'esperienza della vita quotidiana, è indirizzata a farci prendere coscienza che, anche nelle situazioni più difficili, come nell'episodio dell'amministratore, dobbiamo comportarci con fermezza, determinazione, non rifiutandoci di obbedire al disegno di Dio, tanto da poter meritare il Suo l'elogio. Dunque, il termine astuto, dato all'amministratore, non ha un significato negativo: indica, invece, essere saggio, prudente, ragionevole; vale a dire, imparare a trasformare ogni situazione in un'occasione per non paralizzarci nella vita spirituale, e a non prostrarsi sul dovuto, ma a dinamizzare la nostra fede, data a noi in dono per farla fruttare nel mondo. Anche la frase angosciata di Gesù: "i figli di questo mondo verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce" (v.8), diviene per noi il richiamo all'impegno instancabile per il regno di Dio. Infatti, il Maestro non ci consiglia di conformarci a coloro che vogliono arricchirsi a svantaggio di molti, o che "calpestano il povero" (Am 8,4) per ricavare interessi, quindi essere egoisti, avari, prepotenti; ma a vivere l'esistenza redenta sfruttando le energie e i mezzi che Lui ci ha concesso, proprio come fanno quanti sono disposti a rinunciare a tutto pur di raggiungere la popolarità, il potere, la ricchezza.
Nell'ultima parte del racconto evangelico il Signore mette in pratica questo insegnamento nell'impiego dei beni umani. La ricchezza è un segno della benevolenza di Dio; però può essere un male perché la devozione ad essa penetra nel cuore dell'uomo fino a farla divenire idolo. Per questo Gesù dice: "nessun servitore può servire due padroni... non potete servire Dio e la ricchezza" (Lc 16,13). L'unico bene, la nostra ricchezza è Dio, morto e risorto, fatto povero per noi, per mostrarci che ogni cosa ha senso solo se indirizzata verso il Suo amore. Questa dolce corrispondenza, che è la logica della fede, può interrompersi se veniamo distratti da una felicità provvisoria. Allora, come afferma san Paolo nella seconda lettura, dobbiamo "condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio" (1Tm 2,2); essere poveri, non miseri, aperti cioè alla ricchezza che dona il nostro Salvatore; saggi e scaltri nel saper riconoscere sempre la Sua volontà ed attuarla. Amen.