Omelia (30-05-2004) |
mons. Vincenzo Paglia |
Commento Giovanni 15,26-27; 16,12-15 "Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo". Inizia così la prima lettura della liturgia della Pentecoste. I discepoli, obbedienti alle parole che Gesù aveva detto loro, si erano fermati a Gerusalemme. Come ogni giorno, anche questa volta si erano raccolti nella "sala al piano superiore, grande, con divani e cuscini" per celebrare la Pentecoste, ossia il giorno in cui Dio aveva dato a Mosé le tavole della legge. Si legge in un commento giudaico al libro dell'Esodo: "La voce di Dio al Sinai si divise in settanta lingue perché tutte le nazioni potessero comprendere". I discepoli, come tutti gli ebrei, volevano ricordare e rivivere questo evento che era a fondamento della storia del popolo d'Israele. Essi, pur avendo incontrato Gesù risorto, erano ancora poveri uomini impauriti. Continuavano a stare assieme ma, considerando la loro debolezza, cosa potevano aggiungere l'uno accanto all'altro? forse mettere insieme la loro povertà, i loro limiti e poco altro. Ma c'era una cosa preziosa che li faceva stare assieme: il ricordo di Gesù. Forse, tra le parole del Maestro che più ricordavano c'erano queste: "Dove sono riuniti due o tre nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18, 28). Fin dal primo giorno, in effetti, le misero in pratica: perseveravano nello stare insieme in preghiera, assieme alla Madre di Gesù. Al cinquantesimo giorno, mentre si trovavano assieme, venne all'improvviso un rombo come di vento che si abbatté sulla casa e la riempi tutta. Con il vento apparvero anche "lingue come di fuoco che si dividevano e si posavano su ciascuno". Vento e fuoco, simboleggiano lo Spirito Santo che scendeva su di loro e prendeva possesso dei loro cuori: da quel momento quegli uomini, spaventati e prigionieri delle loro difficoltà, vennero scossi come da un terremoto; uscirono dal chiuso della loro vita, dal luogo abituale della loro riunione, e furono capaci persino di parlare lingue che non conoscevano: erano le lingue del mondo intero. Fu grande, infatti, lo stupore di coloro che li ascoltavano. Si chiedevano: "Costoro che parlano non sono forse tutti galilei? E allora com'è che li sentiamo parlare la nostra lingua nativa?" L'autore degli Atti elenca i paesi di origine di coloro che si erano radunati a Gerusalemme. Venivano da ogni parte del mondo allora conosciuto. C'erano tutti; eppure ognuno sentiva annunciare il Vangelo, l'unica Parola, nella propria lingua. E' l'opposto di quello che accadde a Babele. A Gerusalemme, in quel giorno, nessuno prevalse su un altro: i tanti popoli presenti, nonostante le differenti culture e tradizioni, ascoltarono lo stesso Vangelo, ciascuno nella propria lingua. La Gerusalemme della comunione iniziava a cancellare la Babele della confusione. Non a caso, perciò, l'evento della Pentecoste sta all'origine della Chiesa, anzi dà inizio alla Chiesa e ne specifica la vocazione: ogni comunità cristiana, deve essere tutti i giorni una Pentecoste. E' lo Spirito, infatti, che aiuta i discepoli ad uscire da se stessi e a renderli testimoni "sino ai confini della terra" e capaci di annunciare lo stesso Vangelo in lingue e culture diverse. La comunione non annulla la diversità. Oggi, in un mondo che somiglia molto più a Babele che a Gerusalemme, è sempre più urgente che si realizzi il miracolo della Pentecoste. E' urgente che avvenga una Pentecoste. Troppo spesso, l'affermazione di se stessi a qualsiasi costo porta a quella confusione che conosce solo la lingua delle armi. E' necessario che la Pentecoste si realizzi a ogni livello di convivenza umana, da quelle più piccole alle più grandi. Non basta il terremoto che ha fatto crollare i muri delle ideologie che dividevano il mondo; c'è bisogno di un altro terremoto spirituale, che passi dentro il cuore dei singoli, di ognuno di noi, che sconfigga i particolarismi. La Pentecoste non è, non può essere relegata ad solo un giorno; deve estendersi per tutto l'anno. L'esperienza dello Spirito e dell'amore di Dio apre i cuori, fa scavalcare i confini angusti e trasfigura la Babele che è in noi in una nuova Gerusalemme. |