Omelia (04-08-2013) |
don Luciano Cantini |
Discorso alla propria anima Uno della folla Un anonimo, uno qualsiasi, esce dalla folla per porre a Gesù una richiesta; anche se il suo è un problema specifico in qualche modo esprime il sentire e la richiesta di tutta la folla. Il suo è un caso di spartizione di eredità tra fratelli il cui rapporto è ostacolato se non del tutto impedito da beni materiali: è un problema che si ripete in forme e modi diversi tra persone e popoli i cui rapporti sono bloccati dalle proprietà, i confini, le risorse... Gesù taglia corto, non permette di lasciarsi coinvolgere in una questione di questo tipo; sono i presupposti che non digerisce e di cui non vuole diventare né giudice né arbitro: le cose e i beni materiali non possono avere il sopravvento sulle persone, ciò che è bene strumentale non può diventare così importante da essere elemento discriminante. Invece, purtroppo, è proprio così, lo testimonia l'attenzione che i mass-media dedicano alle borse, allo spread o al rating delle agenzie. Abbiamo un nuovo padrone: il denaro che ormai non appartiene più a nessuno se non a se stesso, proprio come un idolo. Il denaro ormai corre da un angolo all'altro della terra, da una tasca all'altra, in ogni ora del fuso orario, supera ogni confine di spazio e di tempo così istantaneamente come l'elettronica permette che la sua proprietà non ha più senso. Lo ha conquistato, invece il contrario. Uno della folla, o meglio tutta la folla vive questo imbarazzo. La sua vita non dipende da ciò che egli possiede Quella che potrebbe sembrare una seria questione di giustizia nella relazione tra persone è smontata da Gesù; la questione è ben altra è l'identificazione della persona nei beni che possiede. L'uomo è diventato ciò di cui è proprietario e ne è posseduto a tal punto da condizionare la sua vita. Gesù usa la parola "cupidigia", che coniuga l'abbondanza con l'inganno, il possesso con l'aggressività di ciò che si possiede, il potere della proprietà con la debolezza dell'essere posseduto. Nella cupidigia non c'è posto per Dio, perché l'uomo è interamente prigioniero dalla sua stessa cupidigia, e a Dio si è sostituito l'idolo che decide di ogni pensiero e sentimento. Qui meriterebbe fare un inciso per sgombrare il campo da interpretazioni semplificate e fuorvianti che vedono la supremazia della vita spirituale, se non addirittura l'identificazione della via evangelica in una dimensione celeste. Storicamente abbiamo costatato, e la cronaca di questi giorni lo conferma, quanto una certa visione trascendentale abbia permesso di fare man bassa di denari, persone e strutture che diventa difficile porvi rimedio nell'odine della "onestà e trasparenza". Non è questione di supremazia di una vita mistica, ma la supremazia della persona e delle sue capacità relazionali. Neppure si tratta del disprezzo delle cose o di una demonizzazione, ma della responsabilità, della concezione e dell'uso che l'uomo fa dei beni materiali. Poi dirò a me stesso: Anima mia... L'uomo del racconto non fa nulla di male, semplicemente si organizza per sistemare le sue cose, ma si pensa e si costituisce signore di sé e della sua vita: questo è punto cruciale dell'esperienza umana. Questa è la pura follia che riduce l'uomo a parlare solo con se stesso e di se stesso, le cose si sostituiscono ad ogni umana relazione. Il problema apparente è il rapporto con i beni di questo mondo, in realtà è il problema della solitudine che i beni inducono e la perdita della comunione. La sciagura autentica di questo ricco-povero è quella di morire lontano da Dio e lontano dagli uomini: "...quello che hai preparato, di chi sarà?" Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio Bisogna arricchire "presso" Dio, mantenendoci nella relazione con lui. Bisogna diventare ricchi non delle cose, ma delle persone che Dio ci regala e mette lungo la nostra strada. Ogni giustizia, ogni mediazione, si misurano nella verità e radicalità di questa relazione che non si chiude in uno scenario di morte ma ci lascia aperti alla speranza e alla vita. |