Omelia (11-08-2013)
fr. Massimo Rossi


La pagina di Luca che avete ascoltato è la continuazione del Vangelo di domenica scorsa: che cosa merita la nostra attenzione, più di ogni altra cosa, il nostro affetto più di ogni altro affetto? Paolo parla di cose di lassù distinte dalle cose della terra; Il terzo evangelista parla di tesoro nei cieli, al sicuro dai ladri e dai tarli.
Segue una raffica di brevi proverbi: l'attesa dello sposo, la veglia dei servi che aspettano il ritorno del padrone, la prudenza di chi si munisce contro le incursioni dei ladri... È vero, potremmo interpretare i detti del Signore come vere e proprie intimidazioni, e vivere i giorni che ci restano nella paura dell'irreparabile; ricordiamo le parole di Dio a quel ricco che aveva pensato ai beni materiali ma non a quelli del cielo: "Stolto, questa notte stessa ti verrà chiesta la vita!".
Del resto, certa religiosità "vetusta e tarlata" - quella sì! - certe prediche di sapore apocalittico ci hanno educati al terrore del giudizio finale, dello scontro finale, nel quale le forze del male si misureranno con quelle del bene e le prime saranno definitivamente distrutte dalle seconde...
Avete mai sentito parlare di antropomorfismo, di antropomorfizzazione di Dio? In sostanza si tratta di attribuire a Dio le mentalità e i comportamenti degli uomini; e dal momento che le dinamiche delle nostre relazioni sono spesso - sempre? - atti di forza, è istintivo attribuire anche a Dio lo stesso modus agendi.
Per smentire la convinzione che Dio sia un giudice secondo il modo umano di intendere la professione forense, cioè sempre pronto a condannare, il Signore descrive l'Onnipotente come un padrone premuroso, disposto persino a premiare la fedeltà dei suoi servi facendoli sedere a tavola e servendoli. Proviamo a considerare con maggiore attenzione le parole di Gesù: qui si invertono addirittura i ruoli: il Signore diventa servitore! Chi di voi non ha immediatamente richiamato alla memoria la descrizione della cena di addio fatta dall'evangelista Giovanni, durante la quale, Gesù si alzò da tavola, si spogliò delle vesti, si cinse i fianchi con un grembiule e cominciò a lavare i piedi agli apostoli? (cfr Gv 13,3ss.). Verosimilmente, quando il Maestro di Nazareth pronunciò queste parole, stava già meditando la decisione di compiere quel gesto inaudito per la cultura ebraica, gesto di valore eucaristico per noi che ancora abitiamo questa terra e profetico per la vita eterna.
La domanda di Pietro: "Signore, questa parabola la dici per noi, o anche per tutti?" dà a Gesù l'occasione di precisare; parla di un amministratore fidato e prudente, messo a capo della servitù: si tratta in primo luogo dei ministri della Chiesa, dei pastori delle comunità. Più che di onori, parliamo di oneri; più che di dignità, parliamo di responsabilità. Ritorna la questione delicata del rapporto tra potere e servizio: il potere è l'atteggiamento di chi gestisce la cosa pubblica come se ne fosse il padrone; il servizio invece viene assunto nel rispetto dell'autorità che lo ha conferito.
In ottica cristiana, il termine "amministratore" individua il suo senso proprio e la sua intima verità nel servizio e non nel potere.

Anche fuori dalla Chiesa, ci sono ben poche situazioni nelle quali possiamo agire ‘facendo da padrone'. Neppure sulla nostra persona abbiamo un'autorità dispotica... Il nostro corpo non ci appartiene! Figurarsi se possiamo vantare un potere analogo su quello degli altri... Provate a cercare un esempio di relazione interpersonale, all'interno della quale sentirci a buon diritto padroni assoluti del gioco: io non ne ho trovate. Né il matrimonio, né la paternità, né la maternità, tantomeno la gerarchia professionale consentono atteggiamenti e mentalità di potere (dispotico); sto parlando di oggi, naturalmente.
Obbiezione: la responsabilità educativa, o professionale, insita in taluni ruoli, impone l'assunzione di un potere non negoziabile. Vero. Ma la responsabilità non è solo potere. La responsabilità è prima di tutto cura.
Il diritto romano antico riconosceva al pater familias, al padre di famiglia, potere di vita o di morte su coloro che vivevano stabilmente in casa, dall'ultimo schiavo al figlio primogenito, alla moglie. A questa concezione padronale delle relazioni familiari, san Paolo reagisce dichiarando che il marito è capo della moglie, sì, ma come Cristo lo è della Chiesa (cfr. Ef 5, Col 3): ora, la Chiesa è scaturita dal sangue di Cristo e continuamente Cristo (cfr. Col 1,18), la nutre e la feconda di nuovi figli con il suo sangue!
Non è chi non veda che la definizione di Cristo-capo è sostanzialmente sbilanciata sul versante del dono gratuito, del servizio disinteressato, del sacrificio totale di sé, piuttosto che sul potere di vita e di morte. Cristo non chiede la vita ai suoi servi. Cristo la vita la dà ai suoi servi!
In conclusione, non saprei dire se questa pagina di Vangelo abbia più valenza etico-morale oppure cristologica: in altri termini, mi chiedo se la Parola che abbiamo ascoltato sottolinei la vocazione cristiana alla fedeltà del servizio, in attesa del ritorno dello Sposo, oppure presenti la fedeltà di Dio alle sue creature, a noi, una fedeltà capace di umiliarsi fino alla morte e alla morte di croce.
Forse le due interpretazioni sono in verità un'unica interpretazione, come le due facce di un'unica medaglia. Non è possibile prendere l'una senza l'altra.
L'ultima sentenza è di una severità singolare: "A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più". Ma la radicalità dell'insegnamento di Gesù raggiunge il suo apice nei due versetti che seguono: "Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! C'è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto!" (12,49-50). A riprova del suddetto riferimento alle due facce di un'unica medaglia, emerge in queste parole il profondo legame che Dio ha voluto tra noi e la persona del Verbo. Il Figlio unigenito è stato mandato nel mondo a compiere un progetto audace, pesante. A Gesù il Padre ha chiesto molto, e Gesù ha dato forse più di quanto Dio gli avesse chiesto. E mentre Gesù esigeva dai suoi lo stesso impegno di credere a qualunque costo, fosse anche a costo della vita, (Gesù) aveva già deciso di fare lo stesso, e di farlo per primo. L'amore di Cristo non è il premio al nostro coraggio. L'amore di Cristo è la condizione di possibilità di ogni coraggio umano.



"Se cerchi qualcosa per te,
non potrai far conto di aver successo nel difendere gli altri."


Dag Hammarsckj-ld