Omelia (26-09-2004)
padre Gian Franco Scarpitta
Anche i ricchi piangono

Triste condizione quella che viene descritta nella prima parte della parabola che oggi noi si ascolterà. Triste soprattutto perché il racconto, sebbene immaginario e fantasioso, rielabora per inciso la realtà di fondo sconcertante di una marcata differenza fra certe famiglie ricche e benestanti, nelle quali molte volte il cibo viene sprecato e ci si abbandona alle voluttà, ai sollazzi e agli sperperi, senza mai contentarsi di quanto si possiede e moltissimi nuclei familiari nei quali a stento si riesce a sbarcare il lunario, oppure non sempre è garantito il pasto giornaliero, oppure ancora... si muore letteralmente di fame.
Che cosa rappresentano infatti le due figure del ricco commensale dedito al luculliano pasto e del povero costretto a mangiare gli avanzi se non la condizione sempre più marcata di dislivello economico fra le famiglie e le singole persone, come anche la situazione generale di instabilità economica in cui versa tanta gente, le condizioni di miseria nelle quali si è costretti a vivere (e a morire), lo stato deprimente di abbandono e di sofferenza di chi muore assiderato dormendo sotto i ponti e la sfacciataggine ed insensibilità di chi, confidando nelle proprie ricchezze, può concedersi assurdi dispendi di denaro e ignominiosi sfarzi? Ed è purtroppo un triste dato di fatto dover constatare come parecchia gente guadagni cifre mostruose non lavorando quasi per niente alle spalle di tanti altri che, nonostante innumerevoli sforzi e sacrifici, non sempre mangiano tutti i giorni... Tutto questo non può che suscitare lo strazio dei poveri e dei miseri, l'implorazione di giustizia da parte di chi soffre la fame e non può che comportare la presa di distanza da parte di Dio verso questo sistema perverso e ingiusto che esalta pochi e abbatte tanti.

Come dicevamo la volta scorsa, la ricchezza non è un male in se stesso né è deprezzabile chi è ricco quando si considera che i beni materiali possono essere occasione per fare del bene al prossimo e per colmare parecchie lacune di miseria esistenti; ma quando il possesso e il consumo diventano occasione di dilapidazione, lussuria e abuso non possono che suscitare l'ira di Dio. Questo anche considerando che nella Scrittura i poveri (anawim) sono sempre stati i privilegiati di Dio, proprio perché vittime dell'umana ingiustizia e perseguitati nonché oppressi, e allo stesso tempo intenti a riporre nel solo Yavè la propria speranza e le proprie attese. Più volte nella Scrittura si invita a "difendere la causa dell'orfano e della vedova" (Isaia) e la stessa istituzione mosaica dell'Anno Sabbatico tende a favorire i più indigenti e a disciplinare i più ricchi.
Che Dio si schieri dalla parte dei miseri, degli umili e degli indigenti è cosa evidente e a dir poco facile a verificarsi attraverso la Scrittura, e soprattutto nel nostro Signore Gesù Cristo, che si è reso Egli stesso ultimo e meschino anche in senso materiale sin dall'infanzia per poter condividere la stessa condizione di precarietà e di sofferenza dei poveri, mentre il suo ministero, se qualche discriminazione o preferenza di persona ha messo in atto, certo questo è avvenuto per la difesa e la tutela dei poveri; e finalmente, si rende ancora più evidente nella seconda parte del nostro assunto parabolico, cioè nella circostanza di morte dell'uomo ricco che non può più tornare indietro nemmeno a preavvisare i parenti perché non facciano la stessa fine: ormai infatti è troppo tardi, giacché in vita aveva ricevuto da parte della Scrittura moniti ben precisi in vista dell'amore al prossimo e nulla può giustificarlo adesso se lui non li aveva osservati.
Questo sottolinea la promessa di giustizia che Dio non manca di rendere effettiva a beneficio degli ultimi e dei poveri, le cui lacrime verranno sempre ascoltate non solo al termine della vita terrena ma anche nella stessa attuale provvisorietà.

Prova effettiva di tale giustizia divina è il semplice fatto che beni e ricchezze, per quanto grandi possano essere le sicurezze materiali che garantiscono, non riusciranno mai a debellare gli stati di malessere interiore che inevitabilmente ossessionano il ricco, essendo non di rado causa di depressione, dispersione e appannamento mentale: molta gente giunge al suicidio proprio perché l'eccessiva stabilità economica ha tolto il senso della lotta, mentre il guadagno facile e la garanzia di successo immediato hanno contribuito a determinare un senso di vacuità e di inutilità che porta a ritenere superfluo il vivere. Per non parlare dei molteplici casi di disperazione e abbattimento che pervadono le case di molti ricchi. E' proprio vero quello che affermava una vecchia telenovela: anche i ricchi piangono.
Ma questo non si verificherebbe qualora la brama di possesso fosse sostituita con la carità e il guadagno a tutti i costi lasciasse il posto alla condivisione di tutto quello che abbiamo con quanti mancano del necessario... Ecco perché la parola del Vangelo è sempre attuale.