| Omelia (23-01-2011) |
| CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie - famiglie) |
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Il calendario liturgico di questa settimana ci introduce nell'ottavario di preghiera per l'unità dei cristiani (18-25 Gennaio). Pertanto, in questo breve commento tenteremo di orientare la nostra riflessione nella direzione di una comprensione ecumenica, cioè universalistica, del contenuto evangelico del brano matteano proposto dalla liturgia della terza Domenica per annum, nella consapevolezza che tale metodo ermeneutico dovrebbe costituire, nel rigore dell'analisi esegetica e filologica, l'essenza stessa del nostro essere, nativamente, "uditori della parola". In questo compito siamo peraltro facilitati dalla stessa liturgia, la quale fa precedere il brano di Matteo dalla lettura dei vigorosi versetti dedicati da Paolo, in quella che ci è stata tramandata come la prima epistola scritta ai cristiani di Corinto, all'esplicitazione pratica del concetto di koinonìa, di comunione ecclesiale. Ora per essere centrata, come è, sulla unicità (e quindi sulla ecumenicità) della salvezza di Cristo per mezzo della croce, la linea della koinonìa paolina pare abilitata ad interpretare anche la conclusione del quarto capitolo del vangelo di Matteo, tutta proiettata a introdurre il grande affresco delle beatitudini, l'autentico nucleo del successivo quinto capitolo. Qui infatti ci troviamo al cospetto di una narrazione che ha il compito di introdurre, con opportuni rimandi biblici e alla tradizione (vv.14-16), lo scopo della predicazione di Cristo (che ha appunto nelle beatitudini uno dei suoi vertici kerygmatici) e il suo essere coerente conseguenza e applicazione delle profezie. Nell'ottica di un ecumenismo delle chiese cristiane, si potrebbe allora parlare, interpretando questo brano, di una sorta di ‘concentrazione Cristologica', cioè di un coagularsi in Cristo delle istanze di salvezza di tutto il popolo di Dio. In questa prospettiva si può ad esempio leggere la riproposizione matteana del versetto 1 del capitolo 9 di Isaia: "Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse", che sarebbe interessante leggere nella precedente traduzione, in sé estremamente significativa: <>il popolo immerso nelle tenebre... Con questa modifica, Matteo intende significare che la situazione spirituale degli Ebrei del tempo di Gesù (ma, in chiave estensiva, si potrebbe ben dire degli uomini e delle donne di ogni tempo) è una situazione di sprofondamento nell'oscurità della notte, di un ottenebramento a causa del male e del peccato del mondo. In questo modo, la traduzione di Matteo inserisce la figura di Cristo nel flusso delle profezie messianiche, al pari di quanto fa Luca nel poderoso Benedictus di Zaccaria (Lc 1,79). Ne risulta una visione Cristologica attestata dall'auto-dichiarazione di Gesù di Gv 8,12: "Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita" e che fa perno sulla concezione di un messaggio di salvezza rivolto a tutti, ma con particolare attenzione per gli spiriti smarriti (le pecore perdute della casa di Israele cui Matteo fa esplicito riferimento in 10,6 e 15,24). L'intima consequenzialità tra l'idea di Cristo come luce del mondo e la predilezione del suo messaggio per gli spiriti smarriti la si evince poi dal prosieguo del testo matteano in esame, che stabilisce come inizio della predicazione di Gesù un vibrante invito alla conversione (vv.17ss.) La frase ‘convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino' inserisce anche tale conversione nel filone escatologico dell'attesa del regno, filone in base al quale vanno spiegato i versetti successivi. Essi costituiscono una sorta di exemplum, una situazione paradigmatica a cui ogni uomo è chiamato a rifarsi, in merito all'applicazione pratica dell'invito alla conversione. La sequela di Gesù, autentico e unico criterio unificante dell'ecumenismo cristiano (d'altronde, è sull'amore e non sulle dottrine che saremo giudicati!) si esplica infatti attraverso un doppio movimento di fiducia (Seguitemi... v.19) e di abbandono (lasciate le reti, lo seguirono... v.20; lasciata la barca e il padre, lo seguirono... v.22), nella consapevolezza che ciò che ultimamente conta è la buona novella del regno (v.23). Ora in questo modo può davvero realizzarsi la parola di Ap 3,20: "Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me". Traccia per la revisione di vita - Come coppia e famiglia siamo davvero "uditori" della Parola oppure essa passa su di noi senza lasciare traccia? - Viviamo in uno spirito di comunione autentica non solo all'interno della nostra famiglia ma con tutti coloro che camminano con noi? Che cosa possiamo fare per recuperare questa "koinonia" se l'avessimo smarrita? - Che cosa significa per la nostra famiglia seguire il Cristo? Commento a cura della famiglia Ghia |