| Omelia (21-11-2010) |
| mons. Roberto Brunelli |
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Amati, per amare "Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'universo": questo è il titolo della festa di oggi, ultima domenica dell'anno liturgico; un titolo altisonante, a prima vista in contraddizione con il brano evangelico, che lo ricorda crocifisso, schernito e deriso. "Ha salvato altri: salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio", dicono i capi del popolo e i soldati romani. In effetti, il modo in cui il vangelo di oggi presenta la regalità di Gesù è paradossale: umanamente, l'opposto di quanto ci si aspetterebbe. Il Re dell'universo vi appare non certo trionfante, ma anzi tragicamente sconfitto, visto che è inchiodato al legno di una croce proprio per la sua pretesa di regalità, come dichiara beffarda la motivazione della condanna scritta sul suo capo: Quando si parla di re, principi, sultani e affini, riferendosi al passato si evocano spesso despoti crudeli, mentre guardando all'oggi si designano di solito fastidiose figure di nababbi che nuotano nei petrodollari, o patetici personaggi ormai privi di potere, buoni per le cronache del gossip. Limiti del linguaggio: il titolo di re così inteso, associato a Cristo appare inadatto, anzi fuorviante, sicché forte è la tentazione di cambiarlo; si potrebbe preferire, ad esempio, il corrispondente in uso tra i cristiani orientali: Pantocrator, cioè Signore universale. Peraltro, se si continua a chiamarlo re è solo perché tale lo dichiarano gli stessi vangeli, pur precisando subito che egli è un re tutto speciale, neppure lontanamente assimilabile a quelli dell'umana esperienza. Cercando di precisarla, anzitutto è da ricordare che egli è re non di questa o quella porzione del suolo terrestre, ma dell'intero creato; non di un popolo particolare ma, lo riconoscano o no, di tutti gli uomini di tutti i tempi, invitati in un regno dove non si pagano tasse, non si fanno guerre, non avvengono crimini, non ci sono prigioni, non c'è posto per rivalità o ambizioni di carriera: un regno, sintetizza la liturgia di oggi, |