Omelia (24-10-2010) |
don Giovanni Berti |
Meglio peccatori che perfetti solitari Clicca qui per la vignetta della settimana. Quando si entra in una chiesa mi hanno insegnato, fin da piccolo, di fare la dovuta genuflessione verso il Tabernacolo. Così insegno anch'io ai ragazzi quando entrano in chiesa prima di qualche celebrazione insieme. Ogni volta è un continuo richiamare che "ricordatevi, si entra nella casa del Signore!", e che "bisogna prima salutare il Signore!". Il Tabernacolo che contiene il Pane Eucaristico, ci ricorda la costante presenza di Gesù anche oltre la celebrazione Eucaristica, la quale da sempre, per i cristiani è la modalità principale per sentire il Signore presente e vicino ("fate questo in memoria di me"). Se dovessimo ri-ambientare la scena del Vangelo in una nostra chiesa, dove porremmo i personaggi del fariseo e del pubblicano? Beh, ovviamente il fariseo sarebbe davanti, vicino al Tabernacolo e il pubblicano in fondo, appena dentro la porta della chiesa, magari seminascosto da un confessionale. E se io, prete, entrassi in chiesa in quel momento, non potrei non notare che il primo mostra un comportamento esemplarmente religioso, mentre il secondo, al massimo, posso pensare che è un turista o un curioso di passaggio. L'apparenza davvero inganna, come si insegna Gesù con la sua sentenza finale che spiazza non poco. Gesù, pur essendo liturgicamente "vicino" nel Tabernacolo al fariseo che prega in modo solenne e vistoso, in realtà è anche lui sulla porta della chiesa, con il secondo che sembra così poco esemplare, piegato su di se e che non guarda nemmeno davanti. La preghiera del fariseo è una preghiera assolutamente solitaria. Non c'è davvero spazio per Dio in quel che il fariseo si dice "addosso", e in quel che pensa di se stesso. Non è altro che una lunga lista di buone opere fatte da solo e un'altrettanto lunga lista di "distinguo" ("non sono come gli altri uomini, ladri, adulteri..."). Pur essendo apparentemente vicino a Dio, in realtà ne è distante, perché Dio non ha spazio di azione in una vita così "perfetta". La preghiera di quello che sta in fondo invece è piena di Dio. Il pubblicano si sente distante da Dio per tutto quel che ha fatto. Ma è li, e chiede misericordia. Riconosce che ha bisogno di Dio. E Dio ha finalmente la possibilità di fare qualcosa per lui. Una preghiera così non è quindi solitaria e non produce solitudine. E' una preghiera che non disprezza nessuno, perché, a differenza della preghiera del fariseo, non fa un elenco di "distinguo". La preghiera del pubblicano è aperta anche alla preghiera di chi sta accanto perché non giudica nessuno, se non se stesso. Paradossalmente l'insegnamento principale di questa parabola non è però sulla preghiera, ma sulla vita. Potrei sintetizzare che "dimmi come preghi e ti dirò come vivi". La preghiera del fariseo ci mostra che in fondo questo vive nell'atteggiamento del disprezzo altrui. Vive tutte le regole della legge e della religione, dimenticando però la prima delle regole (quella più importante anche per Gesù), ed è l'amore del prossimo, che è un fratello da amare e non da giudicare. Il pubblicano, lodato da Gesù, al contrario sembra avere una concezione molto povera di sé, ma che è aperta al perdono. Il pubblicano ha bisogno di Dio e del prossimo per vivere, perché da solo sarebbe condannato a soccombere sotto il peso dei suoi errori, errori che riconosce! Penso ora alla bellezza del pregare insieme, sia nella messa domenicale che in altre occasioni. La preghiera vera produce unità e leviga gli spigoli della vita insieme. La ricerca di una comunione di vita e della solidarietà porta ad una preghiera che non può essere che comune e mai giudicante. Clicca qui per lasciare un commento. |